Italo Calvino e Luciano Berio si incontrano su diversi piani poetici: entrambi, mentre inventano, riflettono sul processo dell’invenzione. Il lettore dei testi di Calvino si trova inevitabilmente coinvolto nell’esperienza del ‘raccontare’ e del ‘leggere’. Berio, come Calvino sul piano narrativo, scardina, analizza e ricompone l’opera lirica nei suoi aspetti solipsistici (di ‘creazione’ soggettiva), comunicativi, sociali, storici e percettivi. Coinvolgendo l’ascoltatore in questo suo procedimento, non gli ofrre certezze: anzi, gli consegna un enigma che non vuole soluzioni ma si definisce per l’aperta e irrisolvibile ricchezza di prospettive che contiene. Quindi, sul piano musicale, ritroviamo ciò che caratterizza certe poesie che hanno per tema lo scrivere, e in particolare lo scrivere ‘quella’ specifica poesia. Come in una figura di Escher, la mano si leva dalla superficie piatta della rappresentazione simbolica per acquistare consistenza percettiva e disegnare se stessa come altra mano. Ma Berio lascia uno spiraglio aperto all’interno di quello che potrebbe sembrare un
loopsenza scampo: compositore e ascoltatore escono dal circuito chiuso attraverso la discorsività musicale. Avanguardia e tradizione recuperano uno spazio comunicativo comune, nel quale l’opera lirica, dopo essersi negata, si ridefinisce. Come in tutta la sua produzione, il materiale musicale, sia nel senso più generico di scelta di altezze, campi armonici, forme, sia nel senso di reinvenzione di organismi già definiti (sezioni, brani interi, atti), si presta a una continua variazione.
Terminata nel 1981,La vera storiaviene in quello stesso anno presentata alla Biennale di Venezia in forma di suite; alla prima rappresentazione scaligera, e all’Opéra di Parigi nel 1985, la cantastorie è interpretata da Milva. Che si tratti, comeOpera(1970), di un meta soggetto, è anche qui suggerito dal titolo. Berio afferma, infatti, che deriva dall’espressione tipica con la quale i cantastorie siciliani iniziano le loro narrazioni: «Venite, ora vi racconto la vera storia di...».
La vera storiasi divide in due parti, nella seconda delle quali Berio rivisita le parole e la musica della prima. David Osmond Smith, sottolineando l’influenza verdiana, e nota che «i primi tre brani solistici, La condanna, Il ratto e La vendetta, reinterpretano un momento del racconto in cui Ferrando apreIl trovatore(Incoraggiato, non dimentichiamolo, da un invito del coro a raccontare ‘la vera storia... di GarcÃa’)». Nel continuo riproporsi di parole-chiave, Berio utilizza infiniti modi di emissione vocale (dal parlato alloSprechgesang, a vere e proprie espansioni melodiche), di sfumature timbriche e di stili (dalla musica rock ai caratteri del melodramma romantico). La prima parte è costituita da quattro Feste (con l’intervento del coro), sei Ballate (dalsoundmoderno, popolare o arcaico) e da arie, duetti e concertati: (Festa I, La condanna, Festa II, Il ratto, Ballata I, La vendetta, Il tempo, Ballata II, La notte, Il duello, La preghiera, Ballata III, Ballata IV, Il grido, Ballata V, La prigione, Festa III, Ballata VI, Il sacrificio, Festa IV, Il ricordo).
Atto primo. Durante una festa popolare, dall’aspetto violento e sacrificale, avviene la cattura e la feroce esecuzione, da parte delle forze dell’ordine, di un uomo, il condannato. Ada, probabilmente sua figlia, rapisce per vendetta il bambino di Ugo, il tiranno. Ugo muore di dolore, e il figlio maggiore Ivo prende il suo posto, giurando di vendicare padre e fratello. Ivo, spalleggiato dalla forza pubblica, sfida a duello Luca, sostenuto dal popolo, poiché entrambi amano Leonora; Ivo è ferito e Luca imprigionato. La protesta della folla viene repressa nel sangue: Ada, rimasta sola, canta la speranza in un futuro migliore e la disperazione per il dolore del presente.
Atto secondo. È costituito da nove scene. In questa parte dell’opera manca la guida di una trama vera e propria; il testo della prima parte viene ripercorso e ‘rimontato’ con modifiche e tagli; Berio afferma che per questa seconda parte si potrebbe parlare di un ritornello o di una parodia della prima.
David Osmond Smith nota che «in verità , se la lezione di Verdi ha informato la prima parte, qui l’influsso dominante è chiaramente quello di Wagner, in particolare delTristan und Isolde». Le quattro Feste rappresentano il doppio volto della trasgressione e dell’intolleranza, dell’eccitazione collettiva. La stessa energia rivoluzionaria rischia di lasciarsi assorbire proprio dalle ossessioni del potere, perdendo così la propria autenticità : individuo e folla, talvolta, si confondono e si scambiano i ruoli. Berio toglie alla vita borghese la patina ipocrita e pedante sotto la quale si nasconde un caos ribollente. L’io moderno non è più saldamente ancorato ai piani razionali della soggettività e dell’oggettività , ma sidisperdein molteplici realtà , interne ed esterne. La direzionalità teatrale, più evidente rispetto aOpera, l’uso frequentissimo di convenzioni melodrammatiche settecentesche e ottocentesche, la ricchezza e bellezza del materiale melodico, la presenza di una latente modalità , rimandano continuamente a fulcri e punti di riferimento linguisticamente stabili, in cui l’ascoltatore si riconosce sia percettivamente sia storicamente. Riflettendo sul linguaggio e sulla società , Berio ne ricava un’analisi tragica e spietata, che viene smentita solo dalla vitalità della sostanza musicale. Nel trio (La notte), ad esempio, Leonora e Luca danno vita a un’intimità affettiva che melodicamente contrasta con il campo armonico di Ivo. E ancora, la linea vocale e strumentale dell’aria di Luca (La prigione) intreccia, in un rigoroso reticolo armonico e contrappuntistico, l’aspetto politico e quello psicologico: «forse questa prigione la portavo in me da sempre». Le sei Ballate, poi, creano delle verie e proprie oasi di diretta espressività . Le prime cinque, oltre alla voce non impostata e all’accompagnamento orchestrale, sono ‘colorate’ da una particolare atmosfera timbrica, evocata dal poetico e singolare impiego di strumenti in scena (rispettivamente due chitarre, fisarmonica, ottavino, pianola, violino e fisarmonica). Non è un caso che Platone, nel suo sistematico disegno di scissione tra ciò che è spirituale e ciò che è corporeo, tra ciò che è accettabile e ciò che va censurato, avesse prospettato una città ideale (sia nelleLeggisia nellaRepubblica), che non sarebbe più stata abitata da «cantastorie ambulanti» ma da «mitoplasti» ufficiali. Anche i miti e le storie sarebbero stati costruiti e diffusi in base a principi standardizzati, eliminando sequenze, proibendo nomi, espellendo poeti non ‘allineati’. Talvolta, le Ballate insinuano riflessioni che, pur essendo accorate, tradiscono un’aspettativa. Già nella seconda (‘Quando ricordiamo’), la cantastorie termina, quasi si trattasse di un grido di speranza, con queste parole che sfociano nel successivo episodio, La notte: «Ma se noi riusciamo a fissare un punto di partenza per i nostri mali si potrebbe prevedere un punto dove conseguenze dirette e indirette non si facciano più sentire...». Forse è proprio questa la ‘storia nascosta’ cui si accenna nella quarta Ballata (‘Fratelli avversi’), il cuisoundjazzistico è reso onirico dalla presenza della pianola. E ancora, nella quinta Ballata (‘Che il canto faccia’), la cantastorie intona un inno al canto, su melismi modali, riprendendo il tema di Orfeo diOpera. La vicenda ripercorre arie, duetti e concertati come archetipi dell’opera tradizionale, fondendo con sapienza l’allontanamento e l’attrazione per il melodramma storico. Il canto riacquista la sua carica trasfiguratrice. Nella già citata aria del tenore (La prigione), riaffiora il motivo del canto e della comunicazione in un indiretto riferimento al tema di Orfeo «Tendo l’orecchio e mi raggiunge un canto. Tornano vita e morte ad avere un senso». La prima parte si conclude con l’aria di Ada (Il ricordo), nella quale ogni prospettiva di riscatto è affidata alla forza collettiva e al coraggio di non dimenticare: «Forse di là dei secoli il male si cancella ma per ora ricordalo in ogni particella di sudore e di lacrime di sangue e di pietà . Forse di là dei secoli un bene si prepara che basterà a rifonderci della pena più amara ma non farà rivivere quel che tu non hai più». L’espressivo lirismo della sua linea vocale, suggestivamente sostenuto, all’inizio, solo dall’organo elettronico, dagli archi tenuti e dalle percussioni, chiude, con l’intervento drammatico dell’intera orchestra, il primo atto. La sua bellissima reinvenzione-ricapitolazione si conclude nella nona scena, sul gioco della memoria, del tempo e del loro continuo ritorno, come avviene nella seconda parte dellaVera storia.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi