Xerseè il terzo grande successo di Cavalli dopo
Egistoe
Giasone: per il soggetto del libretto il giovane conte Nicolò Minato, alle sue prime esperienze di drammaturgo ‘dilettante’ (e tanto si diletterà che i suoi titoli raggiungeranno il numero di duecento), sposta la sua attenzione dalla mitologia, ormai abusata, alla vicenda storica – soluzione già percorsa da Busenello (pur con intenti satirici estranei a Minato, ad esempio con
L’incoronazione di Poppea) ma che prende piede soprattutto dagli anni Cinquanta. Il ricorso a condottieri e monarchi offre il destro per tratteggiare eroi moralmente più inquieti (elemento in genere estraneo agli dèi dissoluti) e permette riferimenti alla situazione politica attuale. In
Xersequesti sono però limitati al prologo, dove la pressione turca è presagita nei traci invasori di Creta. Per il resto Serse I di Persia interessa quale spunto per trionfi militari, parate, fanfare e per il carattere vagamente isterico che lo induce, secondo quanto racconta Erodoto, a concupire la moglie del fratello e a venerare un platano frondoso (sotto cui canta “Ombra mai fuâ€, più nota nella versione di Händel). Il resto è finzione: il fratello prende il nome di Arsamene, e Romilda è la sua futura moglie (adocchiata da Xerse). Viene aggiunta un’altra pretendente, Amastre, già promessa al re persiano, per tutta l’opera in incognito e abiti maschili; e ancora la sorella di Romilda, Adelanta, anch’essa interessata al trono e che per questo complica l’esistenza a tutti: nulla ne sortirà alla fine, giustamente punita. Il libretto di Minato, pur non rinnovando le modalità proprie della stesura drammaturgica, si distingue per caratteristiche proprie in genere mantenute anche negli altri lavori: è più lungo (sessanta scene, per oltre quattro ore di musica); è preordinato (sempre venti scene per atto, cassati versi casualmente ipermetri, distinte le arie dai recitativi e organizzati in un numero di versi prestabilito); accumula personaggi di contorno totalmente avulsi dalla narrazione; frammezza le scene più lunghe con altre slegate; inserisce elementi comici intercambiabili (ora i servi non commentano le vicende dei padroni, cantano se stessi); è concettoso nella versificazione (malgrado la sua dichiarata adesione a uno stile corrivo). Tutto ciò non sembra fare molto onore a Minato drammaturgo, almeno in questi termini, eppure i suoi libretti posseggono un fascino personale proprio nella ricercata pretestuosità , negli eccessi non giustificati, e soprattutto nel verso falsamente popolare e invece sofisticatissimo. Forse il taglio storico, o proprio certa complessità poetica, muovono Cavalli ad assottigliare l’espressività del recitativo che, parallelamente all’aumento del numero di arie, diventa in molti punti connettivo se non puramente funzionale al testo cantato. La fortuna dell’opera è tale che la si trova allestita in tutta Italia quasi fino alla fine del secolo. Nel 1660 avrà un allestimento parigino (il secondo Cavalli francese dopo
Egisto) nell’ambito dei festeggiamenti per il matrimonio di Luigi XIV con l’infanta di Spagna, presente Cavalli che per l’occasione scriverà anche
Ercole amante. Il libretto di Minato, in una versione riadattata da Silvio Stampiglia, sarà musicato nel 1694 da Bononcini e nel 1738 da Händel, prendendo ormai piede, con la fine del Seicento, quella tradizione di rimusicare più e più volte lo stesso testo.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi