La costruzione del nuovo Teatro Ducale venne intrapresa nel 1821 per ordine di Maria Luisa «protettrice delle Belle Arti, dilettante di musica, della quale era esimia cultrice». I lavori durarono sette anni, e la duchessa stabilì «che se ne inaugurasse l’apertura nel maggio 1829 con solennità eccezionale». I parmigiani nutrivano una venerazione particolare e assai viva per Rossini; ovvio che si rivolgessero a lui perché scrivesse l’opera di inaugurazione, ma il compositore pose come condizione di poter lavorare senza muoversi da Parigi. Non potendo accettare tale clausola, si rivolsero a Bellini, l’astro nascente del melodramma italiano; gli accordi preliminari furono contemporanei a quelli per la
Straniera. Le trattative proseguirono a fasi alterne finché il 18 novembre 1828 Bellini, in una lettera, comunica al Florimo di aver accettato la scrittura per Parma. Rifiutato il
Cesare in Egittoridotto a libretto dall’avvocato Luigi Torrigiani, «controllore degli spettacoli di Parma», Bellini ottiene ancora una volta Romani come librettista. Occupato dalle prove della
Straniera, il catanese dimentica temporaneamente l’impegno con Parma; infatti librettista e compositore giunsero nella città ducale, provenienti da Milano, solo a metà marzo. A due mesi dall’andata in scena, il libretto deve ancora essere concordato: Bellini aveva abbandonato l’idea de
Il solitarioe convinse Romani per
Zaira. Ma per ritardi di vario genere, iniziarono a lavorare solamente a metà aprile, ed entrambi dichiararono che l’opera venne compiuta in meno di un mese. Bellini restò soddisfatto del lavoro dichiarando, all’indomani della prova generale, che «anche la
Zairasarà fortunata al pari delle altre mie opere»; probabilmente era soddisfatto per essere riuscito a comporre un’opera in breve tempo. Romani, come sua consuetudine, premise al libretto una premessa, nella quale chiedeva venia per la fretta con la quale erano state scritte poesia e musica. Non occorse altro per irritare i parmigiani, già maldisposti per il continuo rinvio e feriti nel proprio orgoglio di cittadini. Con l’eccezione di una ripresa al Teatro della Pergola di Firenze (1836),
Zaira, dopo l’insuccesso di Parma, non venne più rappresentata nel secolo scorso, mentre Mercadante riutilizzò il libretto di Romani nel 1831 per il San Carlo. La prima rappresentazione moderna ebbe quindi luogo al Teatro Bellini di Catania il 30 marzo 1976 nell’interpretazione di Renata Scotto.
A Gerusalemme e nell’harem del sultano. Prossima alle nozze col valoroso Orosmane, sultano di Gerusalemme, la bella schiava Zaira scopre di essere sorella del cavaliere francese Nerestano, giunto a riscattare i prigionieri, e figlia del vecchio Lusignano, discendente dei principi di Gerusalemme, anch’egli tenuto come ostaggio, al quale promette di non tradire la fede cristiana. Rinvia perciò le nozze, tormentata dal conflitto tra amore e religione, cercando di trovare soluzione al suo dramma in un colloquio col fratello. Ma Orosmane la scopre e, sospettando in Nerestano un rivale, travolto dalla gelosia la pugnala; poi, resosi conto dell’errore, si uccide a sua volta, dopo aver concesso la libertà a tutti i cristiani.
L’argomento, ossia il conflitto amore-dovere tra una cristiana e un musulmano, è affine a quello delMaometto II; simile anche la distribuzione dei ruoli vocali con il basso protagonista, nei panni inconsueti dell’amoroso. I cantanti furono calorosamente applauditi, ma l’opera non piacque. Le ragioni sono varie: Bellini fece ricorso più alle risorse del mestiere che al proprio estro, e il pubblico non riuscì ad assimilare uno stile così diverso da quello di Rossini, al quale era assuefatto. Dell’opera, scritta per la Méric-Lalande, Lablache e la Cecconi, furono applauditi pochi brani: le due arie di Zaira (“Amo ed amata io sonoâ€, e “Che non tentai per vincereâ€); il terzetto del primo atto “(Non si pianga si nascondaâ€) e il rondò di Nerestano (“Oh Zaira, in qual momentoâ€). PerZairaBellini utilizzò due brani daBianca e Fernando(seconda versione): nel coro dei cavalieri francesi (“Poni il fedel tuo martireâ€, dal coro “Tutti siam?â€) e nel quintetto (“Lieto ci mira adesso†da “Contenta appien quest’almaâ€, ossia la cabaletta di Bianca). Solo due pezzi non furono riutilizzati in opere successive: la cabaletta della sortita di Corasmino (“D’un furor colpevoleâ€) e il primo tempo della sortita di Zaira (“Amo ed amata io sonoâ€); la maggiore quantità di ‘autoimprestiti’ di brani, infine, avvenne perI Capuleti e i Montecchi.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi