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Béatrice et Bénédict
Opéra-comique in due atti proprio, da Much Ado about Nothing di Shakespeare
Musica di Hector Berlioz 1803-1869
Prima rappresentazione: Baden-Baden, Théâtre Bénazet, 9 agosto 1862

Personaggi
Vocalità
Béatrice
Mezzosoprano
Bénédict
Tenore
Claudio
Baritono
Deux Domestiques
Recitante
Don Pedro
Basso
Héro
Soprano
Léonato
Recitante
Somarone
Basso
Un Messager
Recitante
Un Tabellion
Recitante
Ursule
Contralto
Note
Atto primo.Messina, verso il 1860, davanti al palazzo del governatore. I siciliani festeggiano il ritorno della loro armata guidata dal generale Don Pedro, che ha inflitto ai Mori una sanguinosa sconfitta. Gli ufficiali Claudio e Bénédict si sono coperti di gloria in battaglia, ma in pace li attende un diverso destino: Claudio ama, riamato, Héro, la figlia del governatore, che gli è promessa in sposa (Héro “Je vais le voir”); Bénédict, invece, ha da tempo ingaggiato con Béatrice, nipote del governatore, un’aspra schermaglia polemica, fondata sulla ripulsa non solo dell’aborrito matrimonio ma anche dell’amore come tale (duetto “Comment le dédain pourrait-il mourir?”). Don Pedro è convinto che questa reciproca avversione sia solo apparente, e con l’aiuto di Claudio decide di ordire un intrigo per smascherare i due giovani. Dopo che il maestro di musica Somarone ha fatto provare ai suoi musicisti un epitalamio grottesco sulle imminenti nozze di Claudio e Héro, i ‘congiurati’ Don Pedro e Claudio fanno in modo che Bénédict assista di nascosto in giardino a una loro conversazione, dalla quale egli apprenderà con sua grande meraviglia che Béatrice è follemente innamorata di lui; e lo stesso, su istigazione di Pedro, faranno Héro e la sua confidente Ursule, appartandosi in modo che Béatrice le ascolti parlare della irresistibile attrazione che Bénédict ha per lei. Dopo l’astuto inganno, che pure turba i riottosi accendendone inopinatamente la passione (rondò di Bénédict “Ah! Je vais laimer”), la dolce Héro effonde la sua felicità al chiaro di luna in seno alla confidente Ursule (duetto-notturno “Vous soupirez, madame?” e aria di Héro “Nuit paisable et sereine!”).

Atto secondo.Prima che la festa di nozze abbia inizio. Somarone improvvisa un canto di lode in onore del vino (‘Improvisation et choeur à boire’: “Le vin de Syracuse”). Irrompe in grande agitazione Béatrice. Ormai l’amore per Bénédict l’ha vinta, e ne ricorda i sintomi (“Il m’en souvient”): ella chiede a Héro e Ursule, ironicamente complici e tuttavia felici del buon esito dell’impresa, ulteriore conferma di essere corrisposta (“Je vais d’un coeur aimant”). Ha inizio la festa, introdotta dalla marcia nuziale e dal coro. Dopo che Claudio e Héro sono stati uniti in matrimonio, il notaio informa esitante che un’altra coppia attende di sottoscrivere un analogo contratto. Tra la sorpresa dei più, ma non di color che sanno, Béatrice e Bénédict si fanno timidamente avanti e, dopo un’ultima schermaglia, si dichiarano apertamente il loro amore e si uniscono in matrimonio, inneggiando, tra il giubilo generale euforicamente scherzoso, alla forza trionfante dell’amore (“L’amour est un flambeau”).

Nonostante sia l’ultima composizione importante di Berlioz, e conti pagine di pregio assolutoBéatrice et Bénédictstenta tuttora a entrare nel repertorio dei teatri, sia in Francia (dove la prima rappresentazione si ebbe solo nel 1890) che altrove. Alcune pregevoli incisioni discografiche, fra cui quelle di Colin Davis e di Daniel Barenboim, concastdi altissimo livello, compensano questa assenza, mascherando solo in parte il problema fondamentale, che è di ordine drammaturgico. Rifacendosi a Shakespeare, un autore che lo aveva letteralmente ossessionato durante tutta la vita, Berlioz non osò in realtà metterlo in musica, ma ne trasse semplicemente spunti per un’esile vicenda circoscritta nei confini di unopéra-comiquedi modeste dimensioni, drasticamente tagliata rispetto al testo originario, da cui sono espunti i gangli vitali della commedia, e destinata a fornire occasione di divertimento e di piacere puramente giocoso, toccando corde ora grottesche ora sentimentali. La leggerezza e la delicatezza della musica, niente affatto inabissata in profondità drammatiche, e talora bloccata al di sopra della stessa vivacità della commedia, dove neppure le parti parlate concorrono a dare smalto all’azione teatrale, sembrano quasi valori a sé stanti: decantati e preziosamente inanellati in un percorso che, anziché crescere progressivamente e avvincere nell’attesa, si sospende continuamente e si perde in lontananze di sogno, per toccare poi di nuovo pesantemente terra con episodi comici accostabili a quelli del repertorio buffo italiano. In luogo di una caratterizzazione psicologica dei personaggi, abbiamo invece emozioni e sentimenti allo stato nascente, puro, anche nella presa di coscienza di destini solo apparentemente determinati da uno stravagante intrigo: reazioni che emergono con immediatezza e ricchezza di immagini dentro alla variegata stilizzazione del canto, organicamente distribuito nella sapiente architettura dei pezzi chiusi, e attraverso la cristallina lucentezza della strumentazione, tanto cesellata fino alle più sottili sfumature (già a partire dalla sfavillante ouverture, che introduce nel clima rapido e brillante dell’opera senza svelarne troppo palesemente la tematica) quanto infarcita di geniali invenzioni e trovate (nei coloriti insiemi, nella ripresa di una siciliana quasi surreale comeentr’actecentrale). Tutto in quest’opera fa pensare a un progetto sfuggente nella sua stessa esilità drammatica, frutto di un’intuizione misteriosa e affascinante, che reagisce alla nevrosi della modernità con le armi fatate della leggerezza.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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