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Boulevard Solitude
Dramma lirico in sette quadri di Grete Weil, dal romanzo Histoire du Chevalier des Grieux et de Manon Lescaut di Antoine-François Prévost
Musica di Hans Werner Henze 1926-
Prima rappresentazione: Hannover, Landestheater, 17 febbraio 1952

Personaggi
Vocalità
Armand des Grieux
Tenore
Francis
Baritono
Lescaut
Baritono
Lilaque figlio
Baritono
Lilaque padre
Tenore
Manon Lescaut
Soprano
Note
Quando Henze affronta per la prima volta l’opera lirica sceglie la storia nota, appassionata e romantica di Manon Lescaut, già sfruttata da Auber, Massenet, Puccini (solo per citare i più famosi). Non è un caso; appassionato di balletto (e tra l’altro direttore della stagione di danza a Wiesbaden), non cerca un soggetto astratto o statico, come molti dei musicisti della sua generazione: la sua linea estetica è in qualche modo rivelata da questa ‘attrazione’ per un racconto intenso e passionale. Certamente i dodici quadri concepiti da Grete Weil tratteggiano un’indagine esistenziale carica di inquietanti e moderni interrogativi; sembra di essere in un film di Antonioni, dove la difficoltà della comunicazione diventa anche problema linguistico e assorbe in un indistinto liquido amniotico la realtà circostante. Solo che quel liquido, con il suo irresistibile potere rassicurante e ingannatorio, si tinge di depressione e paura, fino a trasformarsi in sangue, violenza e tragedia. E allora ritroviamo un sospiro decadente ed esausto in un paesaggio affettivo dilaniato e moderno, come nei romanzi e nelle sceneggiature di Pasolini. L’urlo di dolore non è espressionistico, ma interiore e ripiegato. In questo consiste la modernità di Henze: nell’aver colto, prima di altri musicisti ma in sintonia con le tendenze della letteratura e del cinema a lui contemporanei, quel caratteristico profilo simbolico dei gesti, che segnala il tratto creativo d’oggi. Guardando alla storia musicale della nostra tradizione, Henze riesce ad aggiungere anfratti, a suggerire lievi scarti prospettici mai intuiti prima, a insinuare il ‘nuovo’ come sfuggente intuizione e non come dichiarata ipotesi. Ecco perché inBoulevard Solitudeconvivono codificazioni linguistiche teoricamente lontane, come la tonalità e l’atonalità: i momenti dodecafonici rappresentano l’anelito a una nuova ipotesi di vita e di civiltà, le parti tonali la persistenza di un vecchio mondo in decadenza. Ed è significativo che questa distinzione venga poi minata, sul piano creativo, proprio dall’estrema integrazione tra le due componenti nell’arco formale complessivo (anticipando, fra l’altro, i futuri e più maturi frutti della sua estetica); il che, all’ascolto, smentisce quello stesso presupposto, inserendo con grande spregiudicatezza una contaminazione linguistica in quegli anni convenzionalmente condannata come retriva. Dunque Henze non rinnega – né con l’indifferenza, né con il distacco – le ricerche linguistiche della prima metà del secolo, ma comincia già, in questa sua prima opera, a rivitalizzarle in modo estremamente personale. Henze non procede per ‘negazione’, ma esprimendo la poesia della presenza e dell’assenza – della storia, dei linguaggi, del loro continuo trasformarsi e rivivere – senza spiritualistiche, astratte e neopositivistiche fratture. I quadri sono collegati da intermezzi strumentali che anticipano, riflettono e aggirano il succedersi delle situazioni teatrali; spesso interviene la dimensione corporea della danza e talvolta i cantanti recitano. La contaminazione musicale si riflette, quindi, anche nell’intreccio delle dimensioni espressive extramusicali, dove la concretezza delcorpodiventa simbolicamente il fulcro di una personalissima ricerca creativa.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

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