Home Page
Consultazione
Ricerca per categorie
Ricerca opere
Ricerca produzioni
Ricerca allestimenti
Compagnia virtuale
Servizio
Informazioni e FAQ
Condizioni del servizio
Manuale on-line
Assistenza
Abbonamento
Registrazione
Listino dei servizi
Area pagamenti
Situazione contabile


Visualizzazione opere

Boris Godunov
Dramma musicale popolare in un prologo e quattro atti proprio, dalla tragedia omonima di Aleksandr Puskin e dalla Storia dello stato russo di Nikolaij Karamzin
Musica di Modest Musorgskij 1839-1881
Prima rappresentazione: Pietroburgo, Teatro Mariinskij, 27 gennaio [8 febbraio] 1874

Personaggi
Vocalità
Andrei Å čelkalov
Baritono
Boris Godunov
Basso
Cernikovskij
Baritono
Chrušcov
Baritono
Fëdor
Mezzosoprano
il pretendente Grigorij (Dmitrij)
Tenore
il principe Vasilij Å ujskij
Tenore
Jurodivyj, l'Innocente
Tenore
Ksenija
Soprano
la nutrice di Ksenija
Contralto
Lavickij
Baritono
l’Ostessa
Mezzosoprano
Marina Mniszech
Mezzosoprano
Misail
Tenore
Mitjucha
Baritono
Nikitič, guardia
Basso
Pimen
Basso
Rangoni
Basso
un bojaro di corte
Tenore
un ufficiale di polizia
Basso
Varlaàm
Basso
Note
Pietra miliare della scuola russa, destinata a influenzare una larga parte del Novecento europeo,Boris Godunov, nelle due versioni ‘autentiche’ moltiplicate dalle revisioni, è anche il prototipo del moderno ‘work in progress’. Il suo lungo e complicato cammino inizia nel settembre del 1868 in casa della sorella di Glinka, la ‘dolce colomba’ Ljudmila Sestakova che, dopo la morte del fratello, raduna attorno a sé gli artisti e gli intellettuali della nuova generazione, impegnati a realizzare una cultura autenticamente russa. In questo ambiente culturalmente e umanamente elevato, Vladimir Nikol’skij, storico e studioso di Puskin, richiama l’attenzione dell’amico Musorgskij sul dramma della follia e della morte dello zar Boris, vergato dal sommo poeta nel 1825. Il suggerimento provoca un vivo interesse: come incoraggiamento, la Sestakova invia a Musorgskij il volume di Puskin, inserendo tra le pagine stampate alcuni fogli bianchi. Musorgskij non tarderà a usarli producendo, in un quadriennio, le due versioni del suo capolavoro. Quando riceve dalla vecchia amica il prezioso testo, arricchito dai fogli candidi, il musicista non ha ancora trent’anni: ha studiato con Balakirev, si è liberato dalla sua tutela e si è lanciato alla ricerca di uno stile nazionale e popolare, lontano sia dall’opera italiana cara all’aristocrazia sia all’opera tedesca coltivata dagli occidentalisti. La produzione di liriche e l’esempio di Dargomyzskij l’hanno condotto a scoprire la potenza della parola, la ‘verità’ dei personaggi, delle situazioni, del linguaggio. Elementi da contrapporre alla mera ‘bellezza’, a tutto ciò che suona soltanto melodico e piacevole, atto a cullare l’immaginazione anziché a stimolarla. In un’ottica tanto diretta – egli stesso si definisce un cavallo lanciato in un’unica direzione – la rilettura della tragedia di Puskin è determinante. Nella vicenda, elaborata dal poeta sulla scorta del decimo e dell’undicesimo volume dellaStoria dello stato russodi Nikolaij Karamzin, il musicista trova la materia necessaria a un autentico ‘dramma popolare’: un dramma di cui l’uomo russo – frate spretato, boiaro o zar – sia protagonista.

L’epoca (tra il 1598 e il 1605) è tra le più fosche dello stato moscovita. Morto Ivan il Terribile nel 1584, restano due eredi: il maggiore, Fëdor, figlio di primo letto, e un bimbo di due anni, Dmitrij, nato dall’ultimo matrimonio dello zar (il settimo, pare) con Maria Nagaja. La corona toccò a Fëdor, sebbene fosse debole di cervello. I sudditi lo chiamavano affettuosamentedurak, ‘imbecille’, lodandone la mitezza e la religiosità. «Regnava meglio con la preghiera che con l’intelligenza», si diceva. Occorreva perciò un reggente per gli affari di stato. E questi fu, dopo un breve interregno, Boris Fëdorovic Godunov, uomo di notevole carattere e abilità, che lo stesso Ivan aveva avvicinato al trono dando in moglie a Fëdor la sorella di Boris, Irene. L’alta posizione doveva provocare invidie e malcontenti, soprattutto fra i boiari che, domati da Ivan, speravano di rialzare il capo sotto il figliolo deficiente. Non mancarono le congiure, ed è ovvio che qualcuno pensasse di richiamare il piccolo Dmitrij, prudentemente allontanato assieme alla madre nella lontana città di Uglic. I progetti, comunque, sfumarono quando il ragazzo morì a nove anni, il 15 maggio 1591, con la gola squarciata da un coltello. Chi aveva inferto il colpo mortale? Un’inchiesta ordinata dallo zar Fëdor e da Boris Godunov stabilì che Dmitrij, notoriamente epilettico, si era ferito durante una crisi con un coltello da lui stesso impugnato. Numerose testimonianze giurate, raccolte da Vasilij Suiskij, convalidarono la versione. I nemici di Boris sostennero invece che i testimoni erano stati corrotti o intimiditi per coprire il reggente assassino che, con la scomparsa del fanciullo, si sarebbe assicurata la successione. Questa, in realtà, era ancora lontana. Nel 1591 Fëdor, per quanto debole di mente, era forte di corpo, tanto che visse fino al 1598, in pieno accordo con il reggente e con la moglie Irene, da cui ebbe anche una bimba. L’accusa risuonò ancora più forte quando Boris, cinta la corona, riprese da zar la politica di Ivan diretta all’unità dello Stato. Tutti si rivoltarono: boiari e plebe all’interno del paese, mentre alle frontiere malsicure i polacchi e la chiesa cattolica attendevano l’occasione per smembrare il regno e abbattere la fede ortodossa. In questa situazione, la voce dell’assassinio dello zarevic riemerse con una fantasiosa variante: Boris aveva tentato ma fallito il colpo; il bimbo, salvato e cresciuto sotto falso nome, era vivo. La riapparizione avviene in Polonia dove il falso Dmitrij (forse un novizio fuggito da un convento), proclamatosi figlio di Ivan, ottiene la mano dell’ ambiziosa Marina Mniszech, figlia delvoivodapolacco di Sandomir, raduna un esercito di profughi russi, nobili polacchi e avventurieri e, con la benedizione del pontefice Clemente VIII, parte alla riconquista del regno. L’improvvisa morte di Boris a soli 53 anni, nell’aprile 1605, fece precipitare la situazione. I generali russi passarono al pretendente, che venne incoronato. Il primogenito di Boris, Fëdor, fu assassinato, mentre Ksenija, «la colomba pura», diventata la concubina dell’usurpatore, morirà in convento nel 1622. Dmitrij, a sua volta, venne fatto a pezzi dopo un anno di regno (e le sue ceneri sparate da un cannone) quando i russi si ribellarono alla sopraffazione polacca e cattolica. Si salvò Marina, per lanciarsi in un’avventurosa esistenza unendosi a un secondo e poi a un terzo falso Dmitrij, apparsi e scomparsi, mentre sul trono di Mosca si succedevano Vasilij Sujskij, il re di Polonia Sigismondo e infine Michele Romanov, fondatore della dinastia regnante fino al nostro secolo. Della torbida vicenda, Puskin coglie il nodo centrale, secondo l’interpretazione del grande storico cui rende un reverente omaggio sul foglio di risguardo: «Alla memoria – preziosa per i russi – di Nikolaij Michailovic Karamzin – questo lavoro ispirato dal suo genio – con devozione e gratitudine dedica Aleksandr Puskin». La narrazione, dall’ incoronazione di Boris all’uccisione dei suoi figli, non è continua come nella tragedia classica, ma è shakespearianamente spezzata in ventitre quadri (più due eliminati nella prima edizione), concisi ed essenziali, come se l’autore, aprendo uno spiraglio sul panorama della storia russa e chiudendolo immediatamente, offrisse al lettore una serie di fulminei scorci. «Questo montaggio di opposte sequenze, questo caleidoscopico svariare di siti e di ambienti», come lo descrive Angelo Maria Ripellino, è già caratteristico delle prime opere russe, dalRuslan e LjudmilaalConvitato di pietra, ricavati anch’essi da Puskin. La forma o, meglio, la libertà di forma, conviene perfettamente a Musorgskij che, utilizzando quanto gli occorre, ricava sette scene dal vasto affresco. Abbozzato e scartato un ottavo episodio (l’incontro di Marina e Grigorij presso la fontana), la prima stesura dell’opera risulta così articolata in sette quadri: 1) prologo, dove la folla e il clero invocano Boris; 2) incoronazione; 3) cella di Pimen, dove il monaco-cronista racconta al novizio Grigorij la morte dello zarevic; 4) osteria al confine lituano, dove Grigorij fugge; 5) appartamenti dello zar, con l’annuncio della rivolta e i rimorsi di Boris; 6) davanti alla cattedrale di San Basilio, dove l’Innocente rifiuta di pregare per lo zar Erode; 7) morte di Boris.

Questo è il primoBoris, l’Ur-Boriscomposto, in uno slancio di furore creativo, tra l’«ottobre 1868» (annotato dall’autore sul volume donatogli dalla Sestakova) e il 22 maggio 1869 quando termina lo spartito per canto e piano. Il 15 dicembre successivo Musorgskij appone la parola «Fine» sotto la partitura orchestrale. La stesura, come si vede, procede senza soste, in uno stato di febbrile esaltazione dettato dalla certezza di avere finalmente trovato «gli ingredienti per cuocere la zuppa» evocati nella lettera a Nikol’skij. In soli otto mesi (oltre i sette per la strumentazione) si realizza il lavoro «radicato nella patria pianura e nutrito di pane russo» che, in una precedente lettera (del 12 luglio 1867) al medesimo amico, appariva ancora una meta lontana. Oggi, percorrendo a ritroso la lunga strada dalle prime liriche aSalammbôe da qui all’incompiutoMatrimonio, appaiono chiare le tappe che guidano al primoBoris. Ma il risultato non è meno sorprendente. Tutto appare nuovo e ardito in questo compatto torso: dalla scelta di un testo sospetto alle autorità politiche e musicali alla originalità della realizzazione. Si capisce perché, davanti a quest’opera scritta di getto, si stenda ancora una strada lunga e accidentata. L’autore però è ottimista. Terminata l’orchestrazione si affretta a sottoporre la partitura ai Teatri Imperiali. Una prima risposta gli arriva dal direttore Stepan Gedeonov: «Mi ha detto – comunica Musorgskij alle sorelle Aleksandra e Nadezhda Purgold – che quest’anno non possono rappresentare nulla di nuovo, tuttavia potrebbe chiamarmi verso la metà d’agosto o ai primi di settembre per spaventarli col mioBoris». La data dell’audizione non è nota. Sappiamo invece che i membri della Commissione di lettura respinsero l’opera nella riunione del 10 febbraio 1871, mettendo nell’urna sei palle nere e una bianca. Una settimana dopo, la decisione fu trasmessa ufficialmente all’interessato, a cui però la notizia era già stata comunicata in privato dalla Sestakova. Qui le versioni divergono. Secondo la Sestakova, l’unico motivo del rigetto era la mancanza di una importante parte femminile. Nelle memorie di Rimskij-Korsakov, invece, vengono accentuati «la novità e il carattere inconsueto della musica». Da ciò l’irritazione dell’«illustre comitato che, fra l’altro, rimproverò all’autore la mancanza di una consistente parte femminile». Comunque sia, Musorgskij si dedicò immediatamente alla revisione dell’opera. Due mesi dopo la sentenza della Commissione, appone sotto la nuova scena delboudoirdi Marina la data 10 aprile 1871. L’inserimento del personaggio femminile porta con sé altri sviluppi. Il 10 agosto, con una lettera semiseria, informa l’amico Vladimir Stasov che «Boris, zar colpevole, sta perpetrando un arioso». Il mese successivo (11 settembre) ancora un annuncio a Stasov: «Abbiamo rifatto a nuovo Griska» e «si sta pensando ai vagabondi». È il primo accenno al quadro della foresta di Kromij, che lo occuperà sino a novembre. Il quadro della fontana, l’orchestrazione e i ritocchi lo impegnano sino all’estate successiva. Infine, può notare in calce alla partitura «22 giugno 1872, a Pietroburgo, M. Musorgskij» e l’11 luglio depone rispettosamente la nuova partitura ai piedi di Ljudmila Sestakova: «Accogliete il mioBorissotto la vostra protezione, affinché con voi, benedetta, esso inizi la sua stagione pubblica». I quindici mesi di lavoro intenso hanno dato all’opera una fisionomia largamente rinnovata: un quadro, quello davanti a San Basilio, è soppresso; ai rimanenti sei, quasi tutti rimaneggiati, se ne aggiungono tre nuovi. In totale, il secondoBoriscomprende nove quadri.

Prologo.Quadro primo. Febbraio 1598. Cortile del convento di Novodievic. Il popolo, incitato da un ufficiale di polizia, supplica Boris di accettare la corona di zar. Il segretario della Duma, Scelkalov, annuncia che il candidato resta irremovibile e, mentre un corteo di pellegrini si reca al convento per convincerlo, la folla è convocata dalle guardie al Cremlino.Quadro secondo. 1º settembre 1598. Mosca, la piazza del Cremlino. Boris ha accettato il trono. La folla, spinta da Sujskij, acclama l’incoronazione. Ma, tra lo scampanio e gli inni, il nuovo zar è in preda a foschi presagi (“Skorbít dúsha!â€; ‘La mia anima si rattrista’).

Atto primo.Quadro primo. 1603. Una cella del Monastero dei Miracoli. Il monaco Pimen sta terminando di scrivere la cronaca del regno (“Yeshchó odnó poslyédnye skazányeâ€; ‘Ancora uno, l’ultimo racconto’), mentre il novizio Grigorij si desta, sconvolto da un sogno. Egli aspira alla gloria, alle battaglie, e interroga il vecchio sulla morte dello zarevic. Assassinato da Boris, narra il cronista: avrebbe l’età tua e regnerebbe. Mentre Pimen e i monaci si recano alla preghiera, Grigorij invoca la giustizia divina.Quadro secondo. Osteria presso il confine lituano. L’ostessa canta una gaia canzone (“Poyamóla ya síza selezuyáâ€; ‘Avevo un anatroccolo’), quando arrivano due frati questuanti, Varlaám e Misail, accompagnati da Grigorij che, fuggito dal convento, cerca di varcare il confine. I frati bevono e Varlaám, ubriaco, canta le gesta di Ivan (“Kak vo goróde by´lo vo Kazáneâ€; ‘Una volta nella città di Kazan’). Irrompono i gendarmi alla ricerca di Grigorij che, dopo un vano tentativo di far arrestare Varlaám al suo posto, fugge saltando dalla finestra.

Atto secondo. Gli appartamenti dello zar al Cremlino. Ksenija, la figlia di Boris, piange la morte del fidanzato confortata dal fratello e dalla nutrice con filastrocche infantili (“Kak komár drová rubílâ€; ‘La zanzara tagliava la legna’ e “Túru, túru, petushókâ€; ‘La storia di questo e di quello’). L’entrata di Boris interrompe il gioco. Egli è angosciato dall’insicurezza del regno e turbato dai rimorsi (“Dostíg ya vy´shey vlastiâ€; ‘Ho il potere supremo’). Un boiaro denuncia congiure. Il principe Sujskij annuncia l’apparizione di un Pretendente che si fa passare per Dmitrij. Nel drammatico colloquio Sujskij narra la morte del fanciullo e Boris, rimasto solo, ne vede il fantasma (“I skórbyn syérdtse pólnoâ€; ‘Ah, soffoco!’).

Atto terzo.Quadro primo. 1604. Una stanza nel castello di Sandomir. L’ambiziosa Marina Mniszech si abbiglia per la festa compiaciuta della propria bellezza, ma il gesuita Rangoni la richiama al dovere: dovrà unirsi a Dmitrij per conquistare il trono moscovita e ricondurre i russi al cattolicesimo.Quadro secondo. Nel parco del castello. Dmitrij, innamorato di Marina, invoca la sua presenza (“V pólnok... v sadú... u fontána...â€; ‘A mezzanotte, nel giardino... presso la fontana’) e Rangoni gli promette la felicità purché egli segua i suoi consigli. Appare Marina, corteggiata dai nobili invitati (‘polacca’). Poi, rimasta sola con lui, gioca la commedia dell’ amore per spingerlo all’impresa moscovita (“Dmitrij! zarevicâ€).

Atto quarto.Quadro primo. 13 aprile 1605. Una sala del Cremlino. La Duma dei boiari decreta la morte del falso Dmitrij, che preme alla fontiera. La deliberazione è interrotta da Sujskij, che annuncia il turbamento dello zar, e dallo stesso Boris che fa il suo ingresso delirando. Poi si ricompone per ricevere un monaco depositario di un grande segreto. È Pimen, che narra il miracolo di un pastore cieco che ha riacquistato la vista pregando sulla tomba dello zarevic (“Odnázhdy, v vechérniy chasâ€; ‘Una volta sul far della sera’). Boris, distrutto dall’ emozione, muore dopo aver dato gli ultimi consigli a Fëdor (“Proshcháy, moy sin, umiráyuâ€; ‘Addio, figlio mio, muoio’), additandolo come successore ai boiari.Quadro secondo. Una radura nella foresta di Kromij. I contadini insorti scherniscono un boiaro catturato e, incitati da Varlaám e Misail, trasformatosi in feroci sgherri, si accaniscono contro i gesuiti inviati da Dmitrij, mentre i bambini rubano all’Innocente la copeca ricevuta in elemosina. Compare Dmitrij che, proclamandosi zar, promette giustizia ai perseguitati da Godunov, accoglie il boiaro immediatamente passato dalla sua parte e si avvia a Mosca, tra le acclamazioni del popolo, mentre l’Innocente piange sulla sorte della Russia (“Lyéytes, lyéytes slyózy górkiyeâ€; ‘Sgorgate, lacrime amare’).

Come si vede, il rifacimento è radicale: il dramma dello zar, la figura del pretendente e la partecipazione del popolo acquistano nuove dimensioni. L’inserimento dell’‘atto polacco’, lamentato dai puristi come concessione melodrammatica, è in realtà un momento fondamentale. La figura dell’usurpatore si delinea, preparando la sua apparizione alle porte di Mosca. Lo stesso personaggio di Boris acquista, nel nuovo contesto, un carattere più doloroso. L’avevamo già visto, oppresso dal fato, nella scena dell’incoronazione. Lo incontriamo di nuovo nelle sue stanze, ove non può trovar pace neppure in seno alla famiglia. Non a caso il musicista rielabora a fondo questo quadro. L’aggiunta del vasto arioso, di cui si dichiara particolarmente soddisfatto, e il misterioso effetto dei carillon, ingigantiscono l’angoscia del protagonista. Egli non è soltanto l’uccisore del fanciullo, è un uomo lacerato dai rimorsi e dalla coscienza della vanità del delitto. A differenza di Macbeth, Boris appartiene al popolo: è russo anche quando il paese gli si solleva contro. La violenta esplosione della folla moscovita corona l’opera dando al popolo un ruolo di protagonista. Così l’intese l’amico Nikol’skij, che, proseguendo nella funzione di padrino delBoris, suggerì a Musorgskij di spostare la nuova scena, che avrebbe dovuto precedere la morte dello zar, alla fine dell’opera. Suggerimento adottato con entusiasmo, lasciando al fido Stasov il rammarico di non averci pensato lui! La rivolta però è vana. Musorgskij rimane il pessimista di sempre e l’ultima parola spetta all’Innocente: «Spargete amare lacrime, piangi anima ortodossa... Piangi popolo russo, popolo affamato». Non è ancora giunto il momento in cui «l’energia della nera terra contadina venga fuori». Qui, come nella successivaChovanscina, il retaggio dei miseri è il pianto. Pittura comunque sovversiva agli occhi delle autorità. Rifiutando il primoBorisper il suo anticonformismo, la direzione dei Teatri Imperiali aveva provocato la nascita di un lavoro ancor più sconcertante. Non stupisce che anche il rifacimento venga respinto. Evidentemente non era l’assenza del ruolo femminile a turbare il Comitato di lettura. Nella ‘Gazzetta Teatrale’ del 29 Ottobre 1872, la non accettazione è ufficializzata. Ma ormai la causa delBorisè quella di tutti gli intellettuali progressisiti che l’hanno ascoltato più volte, a brani o per intero, nelle case amiche. Le istituzioni concertistiche ne presentano estratti. La prima è la Società della musica russa, che dà il quadro dell’incoronazione il 5 febbraio 1872; il 3 aprile successivo Balakirev dirige la Polacca nella serata della Scuola gratuita di musica. La battaglia si arricchisce di particolari leggendari: un’enorme folla – riferisce la spuria ‘Nota autobiografica’ – assiste a un’esecuzione cameristica nei saloni dei Purgold, dove viene decisa la realizzazione di tre quadri (quello dell’osteria e i due dell’‘atto polacco’) al teatro Mariinskij di Pietroburgo. La rappresentazione, inserita fra il secondo atto delLohengrine un quadro delFreischütz, ha luogo il 5 febbraio 1873 con un successo clamoroso. La famosa Julia Platonova canta la parte di Marina e si attribuisce, in un romanzesco resoconto apparso una dozzina d’anni dopo, il merito di aver imposto l’opera ricattando la direzione dei Teatri Imperiali: «O si dàBoriso io non canterò più qui!». E la direzione capitola! Si arriva cosi alla prima esecuzione, il 27 gennaio 1874. Il successo è tanto vivo da preoccupare le autorità. Gli studenti intonano i cori di Kromij lungo la Neva. L’opera minaccia di trasformarsi in un manifesto rivoluzionario, e la direzione del teatro, dopo i tagli effettuati alla ‘prima’ con il forzato consenso dell’ autore (il più rilevante dei quali è l’intero quadro della cella nel Monastero dei Miracoli), si affretta a sopprimere il quadro della ribellione. Poi, di sera in sera, gli interventi si moltiplicano riducendo lo spettacolo all’osso. In questa forma,Borissi regge a Pietroburgo per dieci rappresentazioni nel 1874, due nel ’75, due nel ’76, cinque nel ’77 e altre tre tra ’79, ’80 e ’81. Ventidue (secondo il Calvocoressi, venticinque secondo altri), mentre a Mosca andrà in scena nel 1888, con una decina di repliche fino al ’90.

L’esito, come si vede, fu tutt’altro che mediocre nonostante l’ostilità pressoché generale della critica. Quella dei conservatori era scontata. L’autorevole Hermann Laroche, amico di Cajkovskij, ripeté le consuete accuse di ignoranza e dilettantismo riservate al Gruppo dei Cinque. Il letterato Nikolaij Strakov, irritato per le interpolazioni al testo di Puskin, definì l’opera «una mostruosità senza pari». Ai prevedibili attacchi si aggiunsero le inattese perplessità degli amici. Mentre Borodin è entusiasta, Cezar Kjui esprime su un nota rivista pietroburghese un parere offensivamente negativo: grigiore vocale, monotonia dei recitativi, sconnessione del pensiero musicale, insufficienza di senso critico e, per concludere, una «maniera frettolosa, poco esigente e vana di scrivere che ha dato risultati altrettanto deplorevoli nei casi di Rubinstein e di Cajkovskij». Frase particolarmente velenosa perché mette sul medesimo piano il ‘realismo’ nazionale diBorise il cosmopolitismo degli accademici del conservatorio. Due posizioni inconciliabili, come conferma lo stesso Cajkovskij, dopo aver studiato ‘profondamente’ la partitura: «Io mando al diavolo con tutto il cuore la musica di Musorgskij; essa è la più volgare e la più bassa parodia della musica». Il vanto di aver rilanciato l’opera spetta a Rimskij-Korsakov, l’amico che ne ammirava il genio e ne temeva la sregolatezza: «Adoro ilBorise nel medesimo tempo lo odio. Lo adoro per la sua originalità, l’arditezza, la bellezza; lo odio per la sua grossolanità, le durezze armoniche e le assurdità musicali». Le parole, riferite da Vasilij Yastrebtzev, fedele cronista di Rimskij, non sono forse testuali, ma confermano la sfasatura temporale e intellettuale tra il capolavoro diretto al futuro e i musicisti ancorati al loro presente. In quest’ottica, per ‘salvare’Boris, Rimskij lo riporta alle buone regole. A volte si tratta soltanto di minuzie tecniche; in altri casi di aggiustamenti che alterano l’originalità di Musorgskij secondo un criterio melodrammatico, in particolare esaltando i contrasti di colore strumentale e vocale. Messo da parte l’odio, l’amore perBorissi manifesta nello splendore del tessuto sonoro in cui il revisore lo avvolge. Tutto viene innalzato e potenziato: dalla scrittura più ‘eroica’ della parte dello zar, alla veste orchestrale arricchita di timbri brillanti e di smaglianti effetti. Queste qualità assicurarono alla traduzione ‘bella e infedele’ un successo tale da soppiantare a lungo il testo autentico. RilanciòBorissulle scene russe e poi su quelle europee, a partire dallo straordinario spettacolo di Djagilev e Saljapin a Parigi nel 1908. Da allora ha regnato per mezzo secolo, grazie alla preferenza di cantanti e direttori, soggetta tuttavia anch’essa a tagli e varianti di ogni genere. Tra queste si inserì anche un’aggiunta: il reinserimento del quadro del San Basilio, riorchestrato da Mikhail Ippolitov-Ivanov per renderlo omogeneo alla versione di Rimskij-Korsakov. Presentata la prima volta nel gennaio 1927 al Bol’soj di Mosca, si è mantenuta sino ai giorni nostri, sollevando però qualche dubbio. Il predominio della versione rimskiana cominciò a vacillare attorno al 1928, con la pubblicazione della partitura originale curata da Pavel Lamm. Lo stesso anno, il 16 febbraio, il ‘primoBoris’ (1869) viene montato a Leningrado, mentre il secondo (1872) riprende a circolare con frequenza sempre maggiore in Occidente, e oggi anche in patria, per lo più nella nuova edizione critica curata da David Lloyd-Jones. In Italia la ‘rimonta’ comincia con il Maggio musicale fiorentino del 1940 e culmina con lo straordinario spettacolo diretto da Claudio Abbado alla Scala nel 1979. La riscoperta del testo originale non impedì ulteriori interventi, fondati sulla convinzione che l’orchestrazione musorgskiana richiedesse qualche miglioramento. In quest’ordine di idee, Dmitrij Sostakovic elaborò nel 1940 la sua versione, portata in scena nel ‘59 al Kirov di Leningrado. Basandosi sul Lamm, Sostakovic riorchestra tanto il primo quanto il secondoBoris, compiendo così un’operazione che vuol essere meno esteriore di quella rimskiana, ma che finisce per sovrapporre al testo la personalità del nuovo revisore, senza le giustificazioni storiche che, cent’anni or sono, guidarono Rimskij-Korsakov nel rilancio di quest’opera capitale.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


Credits - Condizioni del servizio - Privacy - Press Room - Pubblicità