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Contes d’Hoffmann, Les
(I racconti di Hoffmann) Opéra-fantastique in un prologo, tre atti e un epilogo di Jules Barbier, dal dramma omonimo di Barbier e di Michel Carré e da E.T.A. Hoffmann
Musica di Jacques Offenbach 1819-1880
Prima rappresentazione: Parigi, Opéra-Comique, 10 febbraio 1881

Personaggi
Vocalità
AndrĂšs
Tenore
Antonia
Soprano
Cochenille
Tenore
Crespel
Basso
Frantz
Tenore
Giulietta
Soprano
Hermann
Baritono
Hoffmann
Tenore
la Muse
Mezzosoprano
Lindorf, Coppélius, Dapertutto, Docteur Miracle
Baritono
Luther
Baritono
Nathanael
Tenore
Nicklausse
Mezzosoprano
Olympia
Soprano
Pitichinacchio
Tenore
Schlemihl
Baritono
Spalanzani
Tenore
Stella
Soprano
Voix de la mĂšre d'Antonia
Mezzosoprano
Note
Quando Jacques Offenbach morĂŹ, nel 1880, all’etĂ  di sessantun anni, stava componendo Les Contes d’Hoffmann. «Ho un vizio tremendo, incorreggibile, – aveva detto di se stesso – quello di lavorare senza sosta. Me ne dispiaccio per chi non ama la mia musica, perchĂ© quasi certamente morirĂČ con un’aria sulla punta della penna». A questa opera, che sperava gli aprisse le porte dell’OpĂ©ra-Comique, pensava dal 1851, suggestionato da una piĂšce di Jules Barbier e Michel CarrĂ© (i futuri librettisti del Faust di Gounod) che aveva visto all’OdĂ©on. La traduzione teatrale dei racconti fantastico-demoniaci del romantico E.T.A. Hoffmann gli erano sembrati un libretto ideale e aveva continuato a sognare di musicarli mentre la sua fortuna declinava con il crollo, nel 1870, del Secondo Impero. Al plaisir aristocratico di un pubblico spregiudicato (tra gli altri, il satirico Thackeray e l’austero Tolstoj) che sapeva ridere di se stesso attraverso le mordaci operette del «Mozart dei boulevards», si sostituiva il divertimento moralista e corrivo di neoborghesi che chiedevano spettacolaritĂ  ed evasione. Il progetto si concretizzĂČ al ritorno da un viaggio negli Stati Uniti, organizzato per riassestare le finanze precarie: Hector Salomon, direttore del coro dell’OpĂ©ra-Comique, al quale era stato affidato di musicare la piĂšce, cedette a Offenbach l’onore della composizione. Ma, a differenza degli altri lavori, Les Contes d’Hoffmann procedevano con lentezza: qualcosa, oltre la salute non buona del musicista, sembrava ostacolare la composizione. La prima lettura al pianoforte avvenne in casa Offenbach, in boulevard des Capucines, il 18 maggio 1879, alla presenza di LĂ©on Carvalho, direttore dell’OpĂ©ra-Comique, e di Jauner del Ringtheater di Vienna, interessati ad assicurarsi i diritti di rappresentazione. E proprio all’OpĂ©ra-Comique, nella Salle Favart, Les Contes d’Hoffmann esordirono il 10 febbraio 1881 con Alexandre Talazac (Hoffmann), AdĂšle Isaac (Stella, Olympia, Antonia), Emile Taskin (Lindorf, CoppĂ©lius, Miracle), Marguerite Ugalde (Nicklausse). Come aveva sognato, Offenbach, mai veramente appagato dai meritati successi delle sue operette, da OrphĂ©e aux Enfers a La belle HĂ©lĂšne, da La vie parisienne a La Grande-Duchesse de Gerolstein, conquistĂČ il teatro dove pochi anni prima, nel 1875, era andata in scena la Carmen di Bizet. La morte prematura, il 5 ottobre 1880, gli impedĂŹ perĂČ di assistere all’agognata incoronazione. Completata da Ernest Guiraud, che trasformĂČ la maggior parte dei dialoghi parlati in recitativi (a Guiraud si devono anche i recitativi di Carmen), privata di un atto, quello di Giulietta, e rimaneggiata con libertĂ  dall’impresario, l’opera che fu rappresentata era tuttavia assai diversa da quella che Offenbach aveva concepito. Si apriva cosĂŹ la strada da un lato a una ardua e forse irresolubile questione filologica (molto materiale autografo sembra sia bruciato nell’incendio alla Salle Favart del 1887), dall’altro a una lunga serie di nuove edizioni di volta in volta piĂč o meno vicine all’originale.

Prologo. La taverna di mastro Luther, rischiarata dalle luci della notte. Gli spiriti del vino e della birra animano, invisibili, la serata intonando un coro alle gioie della vita (“Glou, glou, glou”). Evocata dal loro canto, si materializza la Musa che, dopo un saluto festoso ai fumi della taverna, chiede agli spiriti di restituirle l’amore di Hoffmann. Da qualche tempo il poeta non ha occhi che per Stella, la cantante che ora sta trionfando sul palcoscenico del teatro vicino in un’opera di Mozart. Per raggiungere il suo scopo, la Musa assume le sembianze di un giovane, Nicklausse, e si unisce agli studenti e agli amici di Hoffmann. L’arrivo nella taverna del consigliere Lindorf, corteggiatore di Stella, seguito da Andrea, il servitore della cantante, immette nell’atmosfera una nota sinistra: non soltanto perchĂ© Lindorf si Ăš impadronito di un biglietto amoroso, indirizzato a Hoffmann, in cui Stella ha messo le chiavi del suo appartamento, ma per la tracotanza e il cinismo dell’uomo, convinto di conquistare la cantante con le armi dell’astuzia (“Dans les rĂŽles d’amoureux langoureux”). Luther e i suoi aiutanti si preparano intanto a ricevere la primadonna. Si apre una porta sul fondo, una corte di studenti entra in scena brindando al ritmo di una canzone goliardica (“Drig, drig, drig”). Dopo i giovani compaiono anche Hoffmann e Nicklausse e subito il poeta Ăš al centro dell’attenzione. Sembra preoccupato: «Notte e giorno mal dormire» risponde enigmaticamente, con una citazione mozartiana, agli amici che lo interrogano. Ma nella taverna non c’ù spazio per le malinconie d’amore: incalzato dai presenti Hoffmann Ăš costretto a reagire e a raccontare la leggenda del buffo nano Kleinzach (“Il Ă©tait une fois Ă  la cour d’Eisenach...”). L’immagine di Stella finisce perĂČ con l’affiorare anche tra le descrizioni di quell’essere bizzarramente deforme e Hoffmann si perde di nuovo tra i suoi pensieri prima di essere riportato alla realtĂ  dagli amici che vogliono ascoltare la conclusione della storia. Appartato ma attento a ogni sfumatura, Lindorf osserva il rivale incupirsi, poi negare di essere innamorato e inneggiare all’ebbrezza. Decide cosĂŹ di sferrare il suo attacco, con provocazioni che colpiscono Hoffmann nel segno. Nonostante l’evidenza, il poeta continua a fingere distacco dalle donne e dall’amore, ma alla fine, stuzzicato anche dagli studenti, accetta di confessare tre storie appassionate di cui Ăš stato protagonista.

Atto primo. Nel suo studio di scienziato il fisico Spalanzani sta ammirando la sua ultima creatura. Ed Ăš con piacere misto a riluttanza che se ne stacca per ricevere Hoffmann, il migliore tra i suoi allievi, venuto a festeggiare con altri invitati illustri l’ingresso in societĂ  di sua figlia Olympia. Rimasto solo in salotto, per permettere a Spalanzani e al suo servitore balbuziente Cochenille di ultimare i preparativi, Hoffmann vede la ragazza dormire dietro una tenda ed Ăš subito preso d’amore per lei. Con argomentazioni oscure Nicklausse esorta il poeta alla prudenza: invano. Annunciato dalla stessa nota sinistra che aveva accompagnato Lindorf arriva intanto CoppĂ©lius, uno strano commerciante di lenti, che mostra a Hoffmann le sue merci meravigliose – occhialetti, piccoli binocoli e autentici occhi (“J’ai des yeux, de vrais yeux”) – e riesce a venderne alcune all’ingenuo poeta. Un losco commercio sembra legare CoppĂ©lius e Spalanzani, che si contendono la paternitĂ  di Olympia e chiudono la questione con un accordo economico: un versamento dello scienziato (ma in una banca appena fallita). Gli ospiti riportano un clima di serena affettazione, cui aderisce il manierato padrone di casa presentando finalmente la figlia tanto decantata. La ragazza, avara di parole e dai movimenti stranamente legnosi, si esibisce in una chanson (“Les oiseaux dans la charmille”), durante la quale si sentono rumori sospetti di caricamento meccanico che rianima i gorgheggi quando sembrano spegnersi. Nemmeno il poeta, in un romantico tĂȘte Ă  tĂȘte, riesce a scuotere la fanciulla dal suo mutismo: come risposta alle parole d’amore ottiene soltanto dei laconici ‘sì’. E quando si aprono le danze, la giovane sfinisce con i suoi inarrestabili volteggi l’arrendevole Hoffmann, sempre piĂč innamorato. Dopo il ballo, assistita da Cochenille, la silente Olympia si ritira, ma presto un rumore di ferri rotti scioglie i dubbi degli invitati e rompe l’incantesimo del poeta: CoppĂ©lius, infuriato per l’imbroglio di Spalanzani, ha distrutto la algida fanciulla, che altro non era se non un fiabesco automa.

Atto secondo. Una stanza nella casa del liutaio Crespel, a Monaco. Su una parete, tra violini appesi, incombe un ritratto di donna. Seduta al clavicembalo, Antonia, la figlia di Crespel, intona una canzone (“Elle a fui la tourterelle”). La sua voce melodiosa fa trasalire il padre, che entra nella stanza e, correndo verso di lei, la implora di smettere. Una malattia mortale, provocata dal canto, minaccia Antonia, la stessa che ha giĂ  tolto la vita a sua madre. Ma la giovane, attratta irresistibilmente dalla musica, sembra non curarsene. Per scongiurare il peggio, il padre bada che nessuno, in particolare Hoffmann, avvicini la figlia e istruisce in proposito il vecchio servitore, il sordo Frantz, che annuisce senza avere inteso. Al contrario, non appena Crespel Ăš uscito, Frantz apre la porta di casa al poeta e al suo amico Nicklausse. Finalmente soli, Antonia e Hoffmann amoreggiano (“C’est une chanson d’amour”) sino a quando il ritorno di Crespel li obbliga a separarsi e il poeta deve nascondersi. Tetragono agli ordini del padrone, Frantz introduce persino il dottor Miracle, colpevole di avere ucciso, con i suoi malevoli inviti a cantare, la madre di Antonia. Grazie alle sue facoltĂ  medianiche, il diabolico dottore induce la ragazza a gorgheggiare, mentre Hoffmann, che ha scoperto la veritĂ , teme con il liutaio per la sua vita. Crespel riesce a sventare il pericolo, ma Miracle, cacciato dalla porta, rientra magicamente da una parete e i due finiscono con l’accapigliarsi. Intanto Hoffmann, uscito dal suo nascondiglio, scongiura l’innamorata di rinunciare alla musica. Miracle perĂČ istiga di nuovo Antonia a cantare e per convincerla chiama in aiuto lo spettro della madre, la cui voce esce improvvisamente dal ritratto appeso alla parete. Antonia non resiste alla tentazione e muore tra le braccia del padre e dell’affranto Hoffmann.

Atto terzo. In un lussuoso salone di un palazzo veneziano. Giulietta, fascinosa cortigiana, intrattiene gli ospiti di una festa spumeggiante. Fuori scena, due voci femminili (tradizionalmente quelle di Giulietta e di Nicklausse) e il coro si uniscono in una barcarola (“Belle nuit, ĂŽ nuit d’amour”). Hoffmann risponde con un chant bacchique, giĂ  pronto per una nuova avventura amorosa. La conoscenza di Peter SchlĂ©mil, corteggiatore discreto ma tenace di Giulietta, accende la gelosia e insieme il desiderio del poeta, ignaro di quanto la sorte abbia in serbo per lui. Mentre gli invitati, spinti dalla cortigiana, si spostano nella sala da gioco, appare un sinistro personaggio, il sedicente capitano Dapertutto. L’uomo, dotato di poteri magici, possiede un diamante prezioso quanto rarissimo, con il quale seduce Giulietta (“Scintille, diamant”) promettendo di donarglielo se priverĂ  Hoffmann del suo riflesso cosĂŹ come ha tolto a SchlĂ©mil la sua ombra. La donna ubbidisce: attira a sĂ© il poeta, lo circuisce, lo deruba e, quando lo scempio Ăš avvenuto, lo deride. Accecato d’ira, Hoffmann si batte a duello con SchlĂ©mil, uccidendolo. Ma l’avida cortigiana gli sfugge imbarcandosi su una gondola con il servitore Pitichinacchio, mentre Nicklausse trascina via l’amico per salvarlo dall’arresto.

Epilogo. Nella taverna di mastro Luther i presenti hanno finito di ascoltare i racconti e ora accettano l’invito di Hoffmann a bere e a brindare alle tre donne, in cui si sommano i diversi aspetti di una sola: Stella. Applausi, acclamazioni fuori scena: nel teatro vicino l’opera ù finita. Lindorf si affretta a raggiungere la primadonna, mentre il poeta esita. Riappare allora la Musa, nelle sue sembianze divine, e come all’inizio prega Hoffmann di dedicarsi all’arte. Si sentono le voci di un coro (“On est grand par l’amour et plus grand par les pleurs”). Il poeta, turbato, si unisce al canto.

Ispirati a tre racconti di Hoffmann (L’uomo della sabbia, La storia del riflesso perduto e Il violino di Cremona), Les Contes d’Hoffmann fanno dello scrittore romantico amato da Baudelaire e da Balzac, da Poe e da Dostoevskij un «maestro e signore del mondo delle cose», secondo la illuminante definizione di Adorno. Senza rinunciare alla leggerezza di tocco che contraddistingue il suo stile, Offenbach, «mago della parodia e parodista dei miti», aderisce alle visioni notturne di Hoffmann rendendole reali e sinistramente quotidiane. Il demoniaco cui dĂ  voce e corpo non appartiene alle potenze del mondo occulto, ma esce dagli oggetti e dalle case come Miracle dalle pareti di Crespel: la bambola meccanica con gli ‘occhi veri’ nasce dalle mani di Spalanzani; il ‘riflesso’ del poeta rubato da Giulietta (diretto il riferimento all’ombra venduta al diavolo nella Meravigliosa storia di Peter Schlemil di Chamisso) Ăš l’effetto malvagio di un «diamante prezioso»; la morte di Antonia (travolta dalla forza diabolica della musica come il Johannes Kreisler della Kreisleriana di Hoffmann) viene causata dal ritratto della madre, «modello letale – aggiunge Adorno – di ogni ritratto di famiglia». Degli spiriti evocati nessuno puĂČ liberarsi e su tutta l’opera, dissimulata, incombe la sciagura: nella canzone goliardica degli studenti, esplosione di vitalitĂ  che confina con il timore di perderla; nella ballata di Kleinzach, «petit avorton»; nel ticchettĂŹo della carica che accompagna la chanson di Olympia; nella barcarola veneziana (ripresa dal canto degli elfi dell’offenbachiano Rheinnixen) che sale come un’ombra dalle profonditĂ  lagunari; nella voce drammatica della madre di Antonia; nel canto che alla fine turba il poeta. Molti, e sostanziali, sono i cambiamenti apportati all’originale dai revisori, a partire da Guiraud per arrivare ad AndrĂ© Bloch e Pierre Barbier, autori della productiondi Montecarlo del 1904, e all’edizione Choudens (che si suol dire ‘tradizionale’) del 1907. Tra i principali: i recitativi al posto del parlato; la soppressione dell’atto di Giulietta e il successivo ripristino della scena al secondo atto anzichĂ© al terzo; la fuga di Giulietta alla fine della scena veneziana anzichĂ© la morte per veleno; l’inserimento di nuove arie – tra le piĂč celebri e le piĂč amate dell’opera – per Dapertutto (“Scintille, diamant”) e CoppĂ©lius (“J’ai des yeux, de vrais yeux”). Fra i tentativi di ‘restauro’ compiuti negli ultimi quarant’anni si segnalano le edizioni di Hammond, Felsenstein, Bonynge e, in particolare, quelle di Antonio de Almeida, Oeser e Kaye, condotte su materiale rinvenuto recentemente. A differenza di quanto avveniva in passato, oggi si tende a riunificare in un solo interprete i ruoli delle amanti di Hoffmann (Stella, Olympia, Antonia e Giulietta), delle personificazioni del Male (Lindorf, CoppĂ©lius, Miracle e Dapertutto), della Musa e del suo sdoppiamento en travesti Nicklausse. Nuove aggiunte sono costituite da una piccola aria di Niklausse nel prologo; da una diversa sutura tra prologo e atto primo (di Olympia), ripresa nel passaggio tra il terzo (di Giulietta) e l’epilogo; da un’aria con violino concertante di Niklausse nell’atto secondo (di Antonia) e dalla cosiddetta ‘apoteosi’ nel finale, in luogo del coro degli studenti.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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