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Moses und Aron
Opera in tre atti proprio
Musica di Arnold Schönberg 1874-1951
Prima rappresentazione: Zurigo, Stadttheater, 6 giugno 1957

Personaggi
Vocalità
Aron
Tenore
l’adolescente nudo
Tenore
l’Efraimita
Baritono
Moses
Recitante
un altro uomo
Baritono
un giovane
Tenore
un sacerdote
Basso
una giovane
Soprano
un’ammalata
Contralto
vergine nuda (2)
Soprano
vergine nuda (2)
Contralto
Note
Con la premessa dell’incompiuto oratorioDie Jakobsleiter(La scala di Giacobbe, 1917-22), si colloca negli anni dell’ormai conquistata disinvoltura nell’uso del nuovo metodo dodecafonico la genesi lungamente meditata diMosè e Aronne, che, cronologicamente vicino a opere come leVariazioniop. 31 (1926-28) o ilQuartetton. 3 op. 30 (1927), rappresenta forse la più straordinaria sintesi della fase centrale della maturità del compositore, ed è anche uno dei momenti culminanti della riflessione di Schönberg sulla propria identità ebraica. Fino agli anni della genesi della dodecafonia tale riflessione non sembra avere avuto alcun peso nella sua attività artistica e teorica: la svolta venne a coincidere con la recrudescenza di manifestazioni di antisemitismo in Austria e in Germania nel primo dopoguerra. Schönberg stesso ne fu vittima nel 1921 in un episodio di intolleranza a Mattsee (un luogo di villeggiatura nel salisburghese): di fronte alla richiesta di documentare la non appartenenza alla comunità ebraica, Schönberg (che in seguito alla conversione del 1898 non ne faceva più parte) preferì partire immediatamente, e considerò l’episodio importante nella presa di coscienza della propria identità ebraica. Ai problemi dell’antisemitismo, del sionismo, della creazione di uno stato ebraico (che Schönberg riteneva indispensabile, senza legarlo però a un ritorno nelle terre della Bibbia) il compositore dedicò fin dagli anni Venti numerosi testi e un dramma teatrale,La via biblica, che investe temi vicinissimi a quelli delMosè e Aronnee che fu scritto nello stesso 1926 a cui risalgono i primi appunti per la stesura del libretto. Il progetto diMosè e Aronnefu inizialmente pensato come cantata (Mosè al roveto ardente) e poi come oratorio nel 1927-28: ancora nel novembre del ’28 Schönberg ne parlava come di un oratorio. Nel ’30 il testo era stato trasformato in libretto d’opera: la partitura dei primi due atti fu composta con sorprendente rapidità tra il 17 luglio 1930 e il 10 marzo 1932, secondo le date indicate da Schönberg. Il testo del libretto, come Schönberg scrisse in una lettera a Berg dell’8 agosto 1931, prendeva forma definitiva soltanto nel corso della composizione. L’ascesa del nazismo al potere, le prime persecuzioni subite da Schönberg, la decisione di lasciare Berlino e la Germania furono certamente alcune delle cause determinanti dell’interruzione del lavoro alMoses und Aron.E si tenga pure conto delle difficoltà del soggiorno americano: tuttavia in una ventina d’anni Schönberg non trovò il tempo né la forza per dare una sistemazione al testo del terzo atto (che giudicava insoddisfacente) e per comporre la musica (non andò oltre qualche schizzo, di limitatissima estensione). Si deve credere che solo motivi contingenti abbiano impedito a Schönberg di portare a termine il suo ultimo lavoro teatrale? In una lettera a Francesco Siciliani (27 novembre 1950) a proposito dell’ipotesi (non realizzata) di una rappresentazione delMoses und Aronal Maggio musicale fiorentino, Schönberg suggerisce, indifferentemente, o di tralasciare il terzo atto, o di farlo recitare, o anche di rappresentare il solo secondo atto o la sola scena della ‘Danza intorno al vitello d’oro’. Quest’ultima fu diretta da Scherchen a Darmstadt il 2 luglio 1952, pochi giorni prima della morte di Schönberg; le successive esecuzioni o rappresentazioni si arrestarono quasi tutte alla fine del secondo atto. Fa eccezione la versione proposta da Herman Scherchen alla Städtische Oper di Berlino nel 1959: il terzo atto veniva recitato con parti della musica degli atti precedenti (scelte da Scherchen) come sottofondo. Questa versione fu seguita da Scherchen quando diresse la prima rappresentazione delMoses und Aronin Italia (Teatro alla Scala, 19 giugno 1961). Fra gli interpreti di maggior rilievo delMoses und Aron, dopo Hans Rosbaud (che lo diresse nel 1954 e a Zurigo nel 1957) e Scherchen, citiamo Michel Gielen (la cui registrazione con i complessi della radio austriaca servì anche da ‘colonna sonora’ per il film dell’opera di J.M. Straub), Georg Solti, Christoph von Dohnanyi e Pierre Boulez, che, dopo la registrazione con i complessi della Bbc, diresse l’opera in teatro ad Amsterdam nell’ottobre 1995, in uno storico allestimento (ripreso a Salisburgo nell’agosto 1996) con la regia di Peter Stein e le scene di K.E. Herrmann.

Il libretto diMoses und Aronsi ispira molto liberamente alla narrazione biblica della rivelazione a Mosè della sua missione profetica (la voce di Dio dal roveto ardente), dell’esodo degli Ebrei dall’Egitto, dell’adorazione del vitello d’oro durante la prolungata assenza di Mosè sul Sinai, e infine del suo ritorno con le tavole della legge. Uno sguardo alla vicenda mostra quando poco interessassero a Schönberg i dettagli narrativi della fuga dall’Egitto, con le sette piaghe, la storia del Mar Rosso e tutti i fatti che meglio si presterebbero a uno spettacolo operistico convenzionale.

Atto primo.Scena prima. ‘Vocazione di Mosè’. Mosè ode la voce del roveto ardente e chiede di non essere costretto ad annunziare il Dio unico, eterno, invisibile e irrafigurabile. Si sente vecchio, debole, capace di pensare, non di parlare. Ma gli viene risposto che la sua missione sarà riconosiuta grazie a miracoli, e che il fratello Aronne sarà la sua bocca.Scena seconda: ‘Mosè incontra Aronne nel deserto’. Il dialogo dei due fratelli rivela in ogni dettaglio una prospettiva divergente, anche se per il momento non contrastante: Mosè appare preoccupato esclusivamente della purezza del pensiero, Aronne riflette su come il popolo potrà amare e concepire il Dio irraffigurabile.Scena terza e quarta. ‘Mosè e Aronne annunciano al popolo il messaggio di Dio’. C’è disorientamento e discordia fra il popolo alla confuse notizie sul ‘nuovo Dio’ di Mosè e Aronne, accolte con entusiasmo da due giovani, con perplessità da un uomo, con ostilità da un sacerdote. Giungono Mosè e Aronne, e trovano difficoltà a far accettare l’idea che il nuovo Dio è invisibile e irraffigurabile. Mosè sta per cedere («La mia idea è impotente nella parola di Aronne!»); ma Aronne prende risolutamente l’iniziativa («La parola io sono e l’azione») e compie tre miracoli: trasforma il bastone di Mosè in serpente (la potenza e l’abilità), fa apparire la mano di Mosè malata di lebbra e di nuovo sana (la malattia rappresenta la timorosa debolezza del popolo, la guarigione la forza e il coraggio), infine muta l’acqua del Nilo in sangue (il sangue del popolo ebraico che nutre la terra d’Egitto come il Nilo). Con un canto di gioia il popolo segue Mosè e Aronne verso la terra promessa.Intermezzo.Il coro, smarrito, si chiede dove sono Mosè e il suo Dio.

Atto secondo.Scena prima. ‘Aronne e i Settanta anziani davanti alla montagna della Rivelazione’. Da quaranta giorni Mosè è sul Sinai: in attesa della legge divina i peggiori compiono ogni efferatezza.Scena seconda. Irrompe il popolo: visto che non riesce a calmare la ribellione, Aronne ripristina l’idolatria e fa costruire un vitello d’oro.Scena terza. ‘Il vitello d’oro e l’altare’. Gli ebrei si abbandonano al nuovo culto, macellano animali; un’ammalata guarisce a contatto con l’idolo, un gruppo di vecchi sacrifica al vitello gli ultimi atti di vita, il giovane che tenta di ribellarsi viene ucciso, quattro vergini nude (fra le quali la giovane comparsa nella terza scena del primo atto) si offrono al sacrificio, si scatena un’orgia.Scena quarta. Mosè scende dalla montagna e fa sparire il vitello d’oro. Tutti fuggono.Scena quinta. Aronne risponde ai rimproveri di Mosè: egli ha come sempre offerto un’immagine, ama il popolo e intende sforzarsi di rendergli comprensibile almeno una parte dell’idea. A Mosè che ne rivendica l’assolutezza, fa notare che anche le tavole della legge sono un’immagine, una parte dell’idea: Mosè allora spezza le tavole, mentre Aronne rivendica la propria missione. Le colonne di fuoco e di nuvole che guidano il popolo sembrano dargli ragione. Mosè. rimasto solo, si sente vinto: «Era tutto follia ciò che ho pensato e non può né deve essere detto! O parola, parola che mi manca!».

Atto terzo. Aronne, in catene, prosegue la discussione con Mosè, che ribadisce il significato dell’onnipotenza di Dio e ordina di lasciare Aronne libero, perché viva, se può. Aronne cade morto e Mosè conclude: «Ma nel deserto voi siete invincibile e raggiungerete la meta: in unione con Dio».

Come si è visto Schönberg elimina gli elementi narrativi esteriori e spettacolari che poteva trarre dal racconto biblico, potenziando però la scena del vitello d’oro, infarcita di didascalie (per descrivere lo scaternarsi del ‘represso’), e si concentra sull’antitesi tra Mosè, intrasigente difensore della purezza del pensiero (dell’idea del Dio unico, onnipresente, indivisibile e non raffigurabile), ma incapace di esprimerlo, e Aronne, che dovrebbe rendere accessibile con le parole e l’azione l’inesprimibile assolutezza dell’idea, ma può esprimersi soltanto per immagini, a prezzo di riduttivi compromessi. Nella contrapposizione Mosè/Aronne Schönberg diede evidenza a una tensione al limite, a una contraddizione non suscettibile di superamento. I due fratelli non rappresentano un’antitesi, ma una polarità, una indivisibile identità dialettica e dunque anche una separazione invalicabile, una unità nella contraddizione. Non può darsi soluzione chiusa per una vicenda fondata sulla tensione a esprimere l’inesprimibile, e infatti nel corso dell’opera non c’è una reale evoluzione nei rapporti tra i due fratelli, che sono altrettanto vicini e lontani, uniti nella contraddizione, fin dal primo dialogo.

Di per sé può apparire paradossale che Schönberg su un simile argomento abbia scritto un’opera e non un oratorio; ma anche questa è una scelta che sembra rimandare alla necessità di creare immagini, di percorrere la via più ardua e contraddittoria. Schönberg non ignora le ragioni di Aronne: altrimenti non avrebbe potuto scrivere un’opera intorno al divieto biblico di creare immagini. Ed è essenziale il grande rilievo conferito alle reazioni del popolo, con il coro che si impone come terzo, impegnatissimo protagonista dell’opera, secondo una prospettiva che si accosta anch’essa alle ragioni di Aronne. Anche la caratterizzazione vocale dei due fratelli definisce un rapporto di polarità, di tensione verso un’irraggiungibile identità: Aronne si esprime con una vocalità tenorile di ampio respiro, di seducente e insieme tormentata bellezza, mentre Mosè (di cui nella Bibbia si dice che era balbuziente) si attiene in tutta l’opera (con brevissime, molto significative eccezioni) allaSprechgesang. Il suo può essere inteso come un canto estraniato, come il riflesso dell’impossibilità del canto e al tempo stesso come tensione verso di esso; ma può essere visto, proprio in quanto figura di una impotenza, come la voce più vicina alla severa purezza della meditazione, al silenzio che chiede l’idea dell’irraffigurabile. LoSprechgesangdi Mosè e il canto tenorile di Aronne appaiono tesi all’identità nella inconciliabile differenza. E infatti all’inizio dell’opera, nella scena del roveto ardente che ne costituisce uno dei culmini più sconvolgenti, la voce di Dio si fa udire da Mosè attraverso la simultaneità di canto eSprechgesang: è formata dall’intreccio di sei voci soliste che cantano (stando sedute in orchestra, raddoppiate ciascuna da uno strumento) e di un gruppo vocale (a quattro, poi a sei voci) che si attiene alloSprechgesange si colloca in un’altra posizione (eventualmente dietro la scena), suggerendo così un particolare effetto di spazialità. Anche nella vocalità del popolo, infine, canto eSprechgesangsi pongono in un rapporto di alternanza e complementarietà. Nella complessa molteplicità dei suoi aspetti la partitura delMoses und Aronappare come una sintesi di prodigiosa ricchezza del linguaggio schönbergiano nell’avanzata maturità. Coerentemente con l’anelito all’assoluto con la tensione all’inesprimibile che informa la concezione delMoses und Aron, la musica si risolve nell’incisività di uno «stile lapidario» (Adorno) di straordinaria densità e varietà: i vocaboli lacerati dello Schönberg espressionista sembrano riaffiorare nella sintesi di questa partitura, piegandosi a un principio di oggettivazione formale, accendendosi di luce nuova nell’urto con una salda dimensione. Dalla scena del roveto ardente alle grandiose pagine corali, alla disperata invocazione di Mosè che conclude il secondo atto, è davvero impossibile scegliere momenti culminanti in un simile capolavoro. L’episodio più famoso, la scena del vitello d’oro, è il culmine dell’opera dal punto di vista spettacolare; ma musicalmente e drammaturgicamente scene come la prima e l’ultima non sono certo meno rilevanti. Lo stesso Schönberg considerava la scena del vitello d’oro come la più ‘operistica’, e ne fece l’esempio di una concezione teatrale ‘totale’ corredandola di minuziose indicazioni registiche, in una prospettiva che crea ardui problemi (risultando insoddisfacenti tanto l’astrazione troppo stilizzata quanto il realismo più brutale). È naturale che questa scena abbia avuto una certa diffusione fuori dell’opera, perché presenta un’organica compattezza ed è una delle sezioni più chiaramente riferibili a forme della tradizione: è infatti quasi una ‘sinfonia’, nettamente articolata in cinque movimenti: Solenne, Adagio, Allegro alla marcia, Scherzo, Finale. L’invenzione musicale vi si scatena in pagine di una violenza, di un’impudicizia e di una crudeltà erotica inaudite: pause di stupefatto raccoglimento (come il canto dell’ammalata risanata al contatto con l’idolo, o quello di estatica sensualità delle quattro vergini pronte al sacrificio) si alternano a esplosioni feroci, orgiastiche, deliranti, di una evidenza direttamente proporzionale alla tremenda distanza di questa scena dall’inesprimibile purezza del pensiero cui il linguaggio schönbergiano tenta di dar voce con estrema tensione in altre pagine del «frammento sacrale» (come lo definì Adorno).
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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