Un fatto di cronaca, la bizzarra vicenda di una signora milanese, Antonietta Frapolli, rapita nel 1805 e portata alla corte del bey di Algeri, Mustafà -ibn-Ibrahim, potrebbe essere stato la fonte del libretto che Angelo Anelli approntò per
LâItaliana in Algeridi Luigi Mosca (Teatro alla Scala 1808), libretto che Rossini riutilizzò cinque anni dopo, quando lâimpresario del Teatro San Benedetto di Venezia lo incaricò di comporre unâopera buffa. Che Anelli si sia ispirato a una vicenda realmente accaduta non è che unâipotesi; documentabile è invece lâantichissima tradizione che il tema del âratto dal serraglioâ può vantare nel corso dei secoli: Cesare Questa ne ha rinvenuto le origini dallâ
Elenae
Ifigenia in Tauridedi Euripide al
Miles gloriosusdi Plauto, al
Belmonte und Constanzedi Bretzner, fonte da cui Gottlieb Stephanie jr. trasse il libretto per il
Ratto dal serragliodi Mozart, fino allâ
Italiana in Algeridi Anelli. La materia âturcaâ non era dunque, nel primo decennio dellâOttocento, certo una novitĂ . Da quando nel 1683 gli eserciti del Gran Vizir, che avevano cinto dâassedio Vienna, furono sconfitti a Kahlenberg da un esercito di liberazione condotto dal re di Polonia Giovanni Sobieski al comando di Carlo V di Lorena, lâEuropa pose fine allâincubo delle incursioni delle orde giannizzere. Per quanto da questa data i turchi non rappresentassero piĂš una minaccia concreta per lâEuropa centrale, la loro presenza rimase come immagine folkloristica in letteratura, arti figurative e musica. In questâultimo ambito la
turqueriesi risolve, dal punto di vista stilistico, nella ricostruzione oleografica di un certo colore appunto âturchescoâ e, dal punto di vista narrativo, in trame basate su una serie di situazioni buffe provocate dalle diversitĂ di costumi, usi, sembianti, dove il comico risulta dallâimpossibile confronto tra due mondi lontanissimi. Lâharem, il serraglio, la donna o lâuomo europei catturati e ridotto in schiavitĂš per ordine di un sultano, i conseguenti tentativi di fuga e, a conclusione, la libertĂ finale grazie alla magnanimitĂ del sultano o al suo desiderio di liberarsi dagli insopportabili occidentali: sono tutte costanti narrative del filone turchesco che vengono rette da altrettante costanti musicali. Dal Gluck della
Rencontre imprevue ou Les Pèlerins de la Mecque(1764) al GrÊtry della
Caravane du CaĂŻre(1783) ai tre titoli turcheschi di Mozart â
Zaide(1780),
Il ratto dal serraglio(1782) e lâincompleta
Lâoca del Cairo(1783) â alla musica derviscia di Beethoven per
Le rovine dâAtene(1811), alle turcherie rossiniane dellâ
Italiana in Algeri(1813) e del
Turco in Italia(1814), la musica turca si connota, come fa osservare Giorgio Pestelli, per una particolare dimensione dinamica e timbrica, data dalla presenza rilevante delle percussioni â in particolare triangolo, piatti, gran cassa â e per lâadozione di un lessico colorito e bizzarro (note extratonali, acciaccature, cromatismi, modalitĂ ). A questo proposito va notato che Rossini, nella partitura dellâ
Italiana, prescrive lâuso di una âGran Banda Turcaâ e una âCatubaâ. La banda turca era un complesso strumentale di varia formazione; alcune fonti lo descrivono come composto da tamburi, gran cassa, piatti, triangolo e mezzaluna, altre da piatti, triangolo, glockenspiel militare, cappello cinese, mentre il termine âCatubaâ, termine dialettale che si trova in alcuni casi come parte della Banda Turca, è impiegato da Rossini nel quintetto del secondo atto a sottintendere lâinsieme di cassa e piatti, senza escludere comunque altri strumenti a percussione.
Considerato il felice parto che lâincontro col libretto di Anelli provocò, dobbiamo desumere che il soggetto turchesco entusiasmasse Rossini al punto da accendere in lui le piĂš straordinarie facoltĂ creatrici. Tale libretto capitò nelle mani del giovane compositore in modo quanto meno imprevisto, come non prevista era la composizione di unâopera per il teatro San Benedetto nella stagione di primavera del 1813. Dopo lo straordinario successo diTancredial Teatro La Fenice il 6 febbraio 1813, Rossini era infatti partito per Ferrara per curare una ripresa della stessa opera. Al San Benedetto, per il mese di aprile, era prevista una ripresa dellaPietra del paragone, che infatti andò in scena ma con poca fortuna. Lâopera, che aveva esordito con successo al Teatro alla Scala, non piacque ai veneziani tanto che lâimpresario, Giovanni Gallo, pensò bene di rimediare al rovescio contattando Rossini per offrirgli la composizione di una nuova opera. Non câera tempo per commissionare un nuovo libretto, cosĂŹ, seguendo una prassi diffusa allâepoca, si pensò di ricorrere a un libretto preesistente,LâItaliana in Algeridi Anelli. Analogie, seppur limitate, tra le due opere indicano che Rossini sicuramente conosceva il precedente di Mosca. Ma, oltre alle analogie, ciò che balza allâattenzione sono le differenze tra i due libretti, differenze che rendono certo lâintervento di un secondo poeta, che fu con ogni probabilitĂ Gaetano Rossi, poeta stabile del maggiore teatro veneziano, La Fenice, e collaboratore di Rossini in occasione della stesura dei libretti dellaCambiale di matrimonioe del recentissimoTancredi. Gaetano Rossi era inoltre impegnato nella stagione di primavera del San Benedetto per la preparazione di un libretto per unâopera di Carlo Coccia. Gli interventi al libretto di Anelli dovettero essere concordati tra compositore e poeta poichĂŠ alcune situazioni del libretto di Anelli vennero rielaborate al fine di piegare il testo alle esigenze della musica; si pensi solo al caso piĂš clamoroso: la stretta del finale primo (âNella testa ho un campanelloâ), con lâinserzione di un gioco onomatopeico (ÂŤdin, din /bum, bum / cra, craÂť) del tutto assente nellâoriginale di Anelli.
Oltre al ricorso a un libretto giĂ musicato, unâaltra conseguenza degli stretti limiti di tempi entro i quali lâopera dovette essere prodotta fu il ricorso di Rossini allâaiuto di un collaboratore, cui fu affidata la stesura di tutti i recitativi secchi tranne quello che precede lâaria di Taddeo âHo un gran peso sulla testaâ, e la composizione dellâaria di uno dei comprimari, Haly (âLe femmine dâItaliaâ). Probabilmente di altra mano è anche la cavatina di Lindoro nel secondo atto âAh come il cor di giubiloâ.
Sta di fatto che diciotto giorni bastarono a Rossini per la stesura di quello che si può definire senza retorica il primo dei suoi capolavori nel genere buffo. Complici due interpreti di eccezione, Maria Marcolini nei panni di Isabella e Filippo Galli in quelli di MustafĂ , lâopera registrò, sin dalla âprimaâ, un successo strabiliante e duraturo che provocò, dopoTancredi, lâesplosione di quel fenomeno individuato dai contemporanei col termine di ârossinismoâ. Il cronista del âGiornale dipartimentaleâ di Venezia scriveva il 1 giugno 1813, con profetica chiaroveggenza, che ÂŤLâItaliana in Algeridi Rossini passerĂ ovunque tra i capi dâopera del genio e dellâarteÂť.
MustafĂ , bey di Algeri, stanco della propria moglie, Elvira, matura un doppio proposito: dare in sposa Elvira a Lindoro, il suo schiavo italiano, e trovare per sĂŠ unâitaliana. Dâaltronde, confessa MustafĂ a Haly, capitano dei corsari algerini, una moglie ÂŤdabben, docil, modestaÂť per un turco è un partito comune, mentre per un italiano sarebbe assai rara. Haly viene dunque incaricato di mettersi alla caccia dellâItaliana. Lindoro intanto, allâoscuro dei propositi di MustafĂ , pensa alla propria amata lontana e si strugge dâamore (cavatina âLanguir per una bellaâ). Sopraggiunge MustafĂ e gli manifesta lâintento di dargli moglie. Vista la renitenza di Lindoro, passa a elencare tutte le qualitĂ della candidata ( âSe inclinassi a prender moglieâ).
Su una spiaggia, in riva a un mare battuto dalla burrasca. Sul legno dei corsari arriva Haly, che ha fatto preda del bottino e dellâequipaggio; al suo seguito lâItaliana, Isabella. I corsari ammirano la bella signora commentando âĂ un boccon per MustafĂ â, mentre Isabella lamenta la sorte avversa e il pericolo in cui si trova per essersi messa a cercare il suo amato Lindoro. Lo spazio per la disperazione è assai breve: in quattro e quattrâotto la bella Italiana fa una dichiarazione dâintenti: la situazione è grave per cui ci vuole disinvoltura, coraggio e soprattutto la seducente astuzia femminile di cui Isabella, per lunga pratica, conosce il sicuro effetto (cavatina âCruda sorteâ). I corsari scoprono e arrestano Taddeo, cicisbeo di Isabella, la quale dice di esserne la nipote. Haly nomina subito schiavo Taddeo e dichiara a Isabella la sua nobile sorte: âstella e splendorâ del serraglio di MustafĂ . Taddeo è preoccupatissimo, piĂš per la sorte di lei, di cui è innamorato, che per la propria. La sua gelosia fa andare su tutte le furie Isabella provocando un vivace bisticcio (âAi capricci della sorteâ). Nel frattempo, nella sala del palazzo, MustafĂ offre a Lindoro lâopportunitĂ di tornare in Italia purchĂŠ porti con sĂŠ Elvira. La sua fretta aumenta a dismisura quando Haly gli comunica di aver trovato lâItaliana (âGiĂ dâinsolito ardore nel pettoâ, MustafĂ ). Elvira è disperata ma Lindoro le assicura che essendo ricca, giovane e bella, in Italia potrĂ trovare tutti i mariti e amanti che vorrĂ . MustafĂ si prepara a ricevere Isabella (âViva, viva il flagel delle donneâ, finale primo); portati al cospetto una dellâaltro, i due esprimono tra sĂŠ opposto parere: âOh che muso, che figura!â dice Isabella, âOh che pezzo da Sultanoâ dice di lei MustafĂ . Ma mentre Taddeo, inseguito da Haly che minaccia di farlo impalare, rivendica il suo ruolo di zio di Isabella, Elvira, la sua schiava Zulma e Lindoro arrivano a congedarsi da MustafĂ . Isabella e Lindoro si ritrovano cosĂŹ dopo tre mesi, mentre MustafĂ , Elvira, Zulma e Haly assistono allo stupito incontro. Isabella, alla vista di Elvira, apprende di essere lei la sposa di MustafĂ , e dichiara al bey la sua fiera opposizione ad amarlo se non accetta che Elvira rimanga con lui; di piĂš: pretende per sĂŠ Lindoro come schiavo. Alle proteste di MustafĂ , non impiega un attimo a mandarlo al diavolo accusandolo di non saper amare. Mustafà è messo alla berlina: âAh, di leone in asino / Lo feâ costei cangiarâ commentano Elvira, Zulma e Lindoro. Ă il momento della sospesa follia della stretta del finale primo rossiniano (âVa sossopra il mio cervelloâ) che dĂ luogo al delirio contrappuntistico onomatopeico (âNella testa ho un campanelloâ) che chiude il primo atto.
Nellâintroduzione al secondo atto gli eunuchi commentano gli effetti dellâamore sul bey: è diventato uno stupido, uno stolto. Anche Haly prevede come andranno a finire le cose e consiglia a Elvira di avere pazienza: dopo lâesperienza con lâItaliana, MustafĂ diventerĂ certo un buon marito. Intanto MustafĂ si prepara a prendere il caffĂŠ con Isabella e dichiara con tronfia sicumera di saper come trattarla. La prenderĂ dal suo punto debole, lâambizione. Isabella nel frattempo si dispera per aver trovato Lindoro infido: ella crede infatti che lâamato sia innamorato di Elvira. Lâequivoco presto si chiarisce e i due decidono di ordire qualche raggiro per fuggire insieme (cavatina di Lindoro âOh come il cor di giubiloâ). Per dare prova del suo amore a Isabella, MustafĂ nomina il creduto zio, Taddeo, suo âgrande Kaimakanâ, vale a dire luogotenente, e lo fa abbigliare alla turca con turbante e sciabola mentre il coro intona âViva il grande Kaimakanâ. Taddeo non capisce, cosicchĂŠ MustafĂ gli spiega che lo scopo della nomina è che egli riesca a metterlo in grazia alla nipote. Taddeo è dunque a un bivio: o farsi impalare o ÂŤportare il candeliereÂť a MustafĂ e Isabella (âHo un gran peso sulla testaâ, Taddeo). In un magnifico appartamento Isabella si prepara per il caffĂŠ vestendosi alla turca e impartendo a Zulma e Elvira una lezione di astuzia femminile sintetizzabile nel motto ÂŤVa in bocca al lupo chi pecora si faÂť. Si mette allo specchio conscia che MustafĂ , Taddeo e Lindoro la stanno guardando di sottecchi, fingendo amore per il turco (âPer lui che adoroâ, cavatina di Isabella). Mustafà è ormai pazzo dâamore: incarica Taddeo e Lindoro di portarla a lui. Lindoro finge di partecipare alla trama del Bey mentre questi intima a Taddeo di lasciarlo solo al segno convenuto di uno starnuto. Ma ai ripetuti âeccĂŹâ Taddeo fa il sordo mentre Isabella, del tutto inaspettatamente, invita al caffĂŠ anche Elvira. MustafĂ va su tutte le furie (quintetto âTi presento di mia manâ). Non poteva finire che cosĂŹ con una donna italiana! (âLe femmine dâItaliaâ, Haly). Ma la burla inizia ora: Isabella manda a dire a MustafĂ che, come prova del suo affetto, a deciso di nominarlo suo âPappataciâ. Mustafà è attonito (terzetto âPappataci! che mai sento!â) e Lindoro gli spiega che è un titolo concesso in Italia a ÂŤcolor che mai non sanno disgustarsi col bel sessoÂť. Taddeo Kaimakan e MustafĂ Pappataci: le due cariche si equivalgono, nota Taddeo, e con Lindoro passa in rassegna i compiti di un Pappataci: dormire, mangiare, bere tra gli amori e le bellezze. Isabella cerca di liberare tutti gli schiavi italiani facendoli travestire da Pappataci, col pretesto di organizzare la cerimonia di investitura per il bey. Il pensiero dellâItalia risveglia in Isabella istinti patriottici (rondò âPensa alla patriaâ). Arrivano i Pappataci (finale secondo âDeâ Pappataci sâavanza il coroâ) e Isabella dice a MustafĂ che se vorrĂ avere il grado di Pappataci dovrĂ seguire attentamente le sue istruzioni: dovrĂ vedere e non vedere, sentire e non sentire, lasciar fare e dire. Rito primo e massimo è mangiare, bere e tacere. Isabella e Lindoro preparano la fuga: MustafĂ mostra qualche sospetto ma Taddeo gli ricorda il suo giuramento: mangiare e tacere, lo stesso fa MustafĂ quando Taddeo si accorge di essere stato gabbato: ÂŤmangia e taciÂť, lo striglia MustafĂ . Lindoro e Isabella, mossi a pietĂ , invitano Taddeo a seguirli. Compreso nella sua parte di Pappataci, MustafĂ non dĂ retta neppure a Zulma, Haly e Elvira quando questi cercano di fargli capire di essere stato gabbato. Solo allâannuncio che lâItaliana sta scappando, il bey insorge spronando i suoi soldati allâinseguimento, ma i liquori offerti da Isabella hanno avuto il loro effetto e turchi, eunuchi e mori sono tutti ubriachi. MustafĂ , esausto dellâItaliana, ritorna da Elvira. Morale: la Donna, se vuole, riesce a gabbare chiunque.
Stendhal, ÂŤrossinista del 1815Âť per sua stessa definizione, ammmiratore incantato del Rossini dellaPietra del Paragone, diTancredie dellâItaliana, nelle quali riconosceva lâerede di Cimarosa e della tradizione del canto italiano, parla, a proposito dellâItaliana, di ÂŤperfezione del genere buffoÂť. Ciò che guidava lâopinione stendhaliana era il perfetto equilibrio dei registri sentimentale, buffo e serio, riconosciuto anche dalla moderna critica come uno dei fattori della grandezza di questâopera. Certo Rossini, soprannominato in gioventĂš âil tedeschinoâ per talune affinitĂ stilistiche con il repertorio dâoltralpe, e in particolare con Mozart, una buona lezione in questa direzione lâaveva avuta, basti pensare al mozartianoCosĂŹ fan tutte.Vi sono infatti taluni aspetti, come lâorchestrazione, e alcune situazioni dellâItaliana(si veda il terzetto nel finale primo âPria di dividerciâ o il coro dei Pappataci nel secondo atto âDei Pappataci sâavanza il coroâ), che presentano unâinequivocabile coloritura mozartiana. La commistione tra genere serio e buffo è stata spesso sottilineata, a proposito dei melodrammi di Rossini, nel senso della trasmigrazione di materiale dellâopera buffa in opere serie: nel caso dellâItalianaquesta relazione avviene in senso contrario, nellâadozione di stilemi dellâopera seria entro lâopera buffa, e non sempre nel senso della caricatura, della parodia. Unâaria come âPensa alla patriaâ, o la sortita di Isabella âCruda sorteâ, che impiega lo schema di âcoro e cavatinaâ normalmente adottato nellâopera seria, avviano una tendenza che andrĂ sviluppandosi conLa Cenerentolae che troverĂ una sintesi completa nel genere semiserio conLa gazza ladra.
Al giudizio di Stendhal certo contribuĂŹ, se non in modo conscio, un altro aspetto rilevante della partitura rossiniana, vale a dire lo straordinario equilibrio dellâimpianto formale, specie del primo atto, che presenta una struttura speculare nella distribuzione dei vari pezzi. Questa rigida impalcatura formale è chiamata a contenere una musica che altro non è se non ÂŤfollia organizzataÂť (Stendhal), organizzata appunto in un meccanismo chiamato a inglobare quella ÂŤcomicitĂ ritmicaÂť, secondo lâespressione di Luigi Rognoni, che ha fatto accostare i meccanismi del comico dellâItalianaa certegagdel cinema muto. Questi caratteri del comico sono bilanciati da quello che potremmo definire lâelemento idillico-sensuale: il motivo dellâoboe nellâAndante della sinfonia, gli âassoloâ strumentali nellâintroduzione di alcune arie: il corno che introduce il tema della prima aria di Lindoro, âLanguir per una bellaâ e che rende cosĂŹ difficile la prova iniziale del tenore, chiamato a confrontarsi immediatamente sullo stessa tema con lo strumento piĂš ricco di armonici; lâassolo di flauto o di violoncello nella cavatina di Isabella âPer lui che adoroâ. Queste caratteristiche, cui possiamo aggiungere lâimportanza attribuita ai ruoli vocali, la loro distribuzione, le dimensioni, lâimpegno compositivo, sono tutti fattori che situanoLâItalianain una posizione ben diversa da quella occupata dalle opere comiche precedenti.
La storia delle rappresentazioni successive alla âprimaâ del San Benedetto, registra alcuni interventi di Rossini per la composizione di arie alternative: lâaria di Isabella âCimentando i venti e lâondeâ in sostituzione della cavatina âCruda sorteâ, la cavatina di Lindoro âConcedi amor pietosoâ, scritta in occasione di una ripresa milanese del 1814 in luogo di âOh come il cor di giubiloâ. Da citare, piĂš come fatto di costume che per il rigore documentario, le modifiche richieste dalla censura di Milano al testo della cavatina âCruda sorteâ, al fine di eliminarne gli allusivi e maliziosi doppi sensi.
Un anno dopo, nel 1815, Rossini venne invitato dallâimpresario Domenico Barbaja a rappresentareLâItaliana in Algerial Teatro dei Fiorentini di Napoli: i Borboni erano appena rientrati nella capitale partenopea dopo la parentesi repubblicana di Murat: un testo come quello del rondò di Isabella âPensa alla patriaâ, il pezzo piĂš celebre dellâopera, faceva temere il riaccendersi di sentimenti patriottici, tanto piĂš che nel coro introduttivo, alle parole âQuanto vaglian glâItalianiâ Rossini aveva inserito una criptocitazione della Marseillaise: troppo per la attenta censura borbonica, che non si accontentò di modificare i primi versi, come era stato fatto a Roma (âPensa alla sposaâ), ma richiese la sostituzione del rondò con lâaria âSullo stil deâ viaggiatoriâ.LâItaliana in Algeri, pur con alterne fortune, non uscĂŹ mai completamente dal repertorio: a dispetto di modifiche, autentiche o spurie, di interventi e manomissioni, ha proseguito per quasi due secoli il proprio fortunato e ininterrotto cammino, piĂš che con ali ai piedi, saremmo tentati di dire, con babbucce a mezzaluna...
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi