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Angelo di fuoco, L’
[Ognennÿ Angel] Opera in cinque atti e sette quadri proprio, dal romanzo omonimo di Valerij Brjusov
Musica di Sergej Prokof’ev 1891-1953
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 14 settembre 1955

Personaggi
Vocalità
Agrippa di Nettesheim
Tenore
il garzone della locanda
Baritono
Jakob Glock
Tenore
Johann Faust
Basso
la madre superiora
Mezzosoprano
la padrona della locanda
Mezzosoprano
l’indovina
Mezzosoprano
l’Inquisitore
Basso
l’oste
Baritono
Mathias Wissman
Baritono
Mefistofele
Tenore
Renata
Soprano
Ruprecht
Baritono
un medico
Tenore
Note
Diverse e complesse ragioni di ordine biografico, estetico e drammaturgico hanno concorso ad assegnare all’opera, in cui oggi si riconosce uno degli esiti più alti dell’intera produzione teatrale di Prokof’ev, una fisionomia e una fortuna alquanto singolari. Le circostanze della lunga e travagliata stesura della partitura, il clima decadente e simbolista del romanzo di Brjusov da cui è tratto il libretto e che si trova rispecchiato dalla veemenza allucinata della musica, hanno imposto all’Angelo di fuocol’immeritato sortilegio di una prima rappresentazione postuma, a distanza di ben trent’anni dal suo completamento e a due dalla morte del compositore. Gli abbozzi iniziali del lavoro, che si protrarrà per sette anni, risalgono al 1919, ossia all’epoca del primo soggiorno statunitense di Prokof’ev. Demoralizzato dalle forti difficoltà che incontravano i suoi tentativi di far rappresentareL’amore delle tre melarancee bistrattato dai critici americani che, ricorda nell’Autobiografia, «irridevano grossolanamente alle innovazioni», reagisce gettandosi a capofitto nel nuovo impegno: «Se un’opera era fallita, ne avrei scritta un’altra. Ecco tutto!». Ma negli anni Venti pochi presero l’Angeloin seria considerazione; tra questi Bruno Walter, che nel ‘26 dirigeva la Stadtische Oper di Berlino. Senonché le trattative con il compositore, che per la progettata messinscena aveva rivisto l’orchestrazione, non approdarono a nulla. Reputata inadatta dai teatri occidentali, assolutamente impensabile per gli ideologizzati palcoscenici sovietici, la partitura su testo in versione francese giacque presso l’editore parigino di Prokof’ev fino al ‘52 (mentre l’autografa stesura in russo, ritenuta persa, verrà rinvenuta a Londra nel 1977). Seguì la riscoperta postuma: un’esecuzione in forma di concerto al Théâtre des Champs Elysées e nel ‘55, in apertura del XVIII Festival Internazionale di Venezia, la prima in forma scenica (in lingua italiana), per la direzione di Nino Sonzogno e la regia di Giorgio Strehler. Da allora l’opera è entrata nel repertorio internazionale e italiano; ricordiamo in particolare l’edizione del Comunale di Bologna e le tre edizioni scaligere (1956, ‘70 e ‘94), l’ultima delle quali, in lingua originale, diretta da Riccardo Chailly.

Atto primo. Nella Germania del XVI secolo, nella soffitta di una miserabile locanda. Sulla via del ritorno da un lungo viaggio nelle Americhe, Ruprecht ha preso alloggio per la notte in una sordida stamberga in cui si è trovato a passare. Il suo arrivo è subito turbato da terribili grida femminili che provengono dalla camera vicina alla sua; il cavaliere si precipita in soccorso sfondando la porta sbarrata e vi trova una giovane, Renata, in preda a un terrore incontrollabile, seminuda e con i capelli scarmigliati. La donna ringrazia Ruprecht per averla salvata con la sua irruzione dalle visioni demoniache che la stavano perseguitando. Quindi gli narra delle apparizioni di Madiel’: «Un angelo tutto di fuoco, tutto immerso nella luce, con un abito candido come le neve». Dall’età di otto anni Madiel’ le era stato accanto come un angelo custode con il compito di indirizzarla a una vita di santità e penitenza. Ma Renata, fattasi adulta, smarrì la via dell’amore celeste restando preda di una passione terrena e carnale per Madiel’, rapita dai suoi occhi «azzurri come il cielo e dai capelli sottili come l’oro». L’angelo si mutò allora in un’irata colonna di fuoco, che svanì lasciandole delle ustioni sul corpo. Renata si convinse tuttavia di aver ritrovato Madiel’ nelle fattezze umane del conte Heinrich, del quale fu l’amante per due anni prima di esserne abbandonata. Interviene la padrona della locanda ad ammonire Ruprecht: Renata è una poco di buono e si dice che abbia stregato il conte Heinrich, che per colpa sua si è dato alla magia, all’alchimia e ad altre pratiche diaboliche. Ruprecht, affascinato dalla giovane, tenta di sedurla ma ne è respinto. Il cavaliere si scusa del suo accesso passionale e decide di aiutarla a ritrovare Heinrich. Prima che i due lascino insieme la locanda, un’indovina predice a Renata un fosco destino di sangue.

Atto secondo.Quadro primo. Nella casa di Ruprecht e Renata a Colonia. In questa città Renata ‘sente’ di poter ritrovare Heinrich con perlustrazioni, esorcismi e con la guida di trattati di magia forniti dal libraio Jacob Glock. Ma tutto è vano; sconfortato, Ruprecht accetta l’offerta di Glock di accompagnarlo da Agrippa di Nettesheim.Quadro secondo. Ma il celebre mago si schermisce, affermando di non sapere nulla di sabba, demoni e segreti alchimistici. Dice di essere solo uno studioso: ma i tre scheletri umani che penzolano a una parete nascosta a Ruprecht, si lamentano facendo sbattere le ossa: «Menti, menti!», gridano all’indirizzo del mago.

Atto terzo.Quadro primo. Una strada davanti alla casa di Heinrich. Renata ha infine identificato la casa di Heinrich e chiede a Ruprecht di ucciderlo. Davanti al suo amore puro, afferma Renata, che in lui vedeva un’incarnazione dell’angelo Madiel’, il conte si è comportato come uno spregevole seduttore, anzi come il peggiore dei tentatori mandatole dal demonio per farle smarrire il cammino della santità. Convinto dalla versione dei fatti della giovane, Ruprecht decide di sfidare il conte a duello. Intanto questi appare dalla finestra della sua casa, e in lui Renata ravvisa di nuovo la luminosa bellezza di Madiel’. Ora la giovane si pente dell’impulso vendicativo e vorrebbe trattenere Ruprecht, ma è troppo tardi: l’indomani si svolgerà il duello tra i due uomini.Quadro secondo. Nei pressi di un burrone sul Reno. Il duello si è appena concluso con il ferimento di Ruprecht. Renata si proclama commossa dal gesto eroico del cavaliere e dichiara di amarlo mentre un coro invisibile commenta con ironia le sue parole. In preda ai rimorsi, decide di entrare in convento se Ruprecht non dovesse sopravvivere. Ma Mathias, medico e compagno di studi del cavaliere, riesce a salvarlo.

Atto quarto. Una piazza di Colonia. Ruprecht è convalescente e ormai sulla via della guarigione; ma Renata è fermamente convinta che il suo amore per il cavaliere sia peccaminoso. Ancor prima di incontrare Ruprecht, confessa, il suo solo desiderio era di ritirarsi in convento. Rifiuta perciò la sua proposta di matrimonio e fugge da lui con le parole «Ipocrita! C’è un diavolo in te!». Alla parola ‘diavolo’ entrano in scena Faust e Mefistofele; si siedono a un tavolo della taverna vicino a Ruprecht che, dopo aver cercato inutilmente di inseguire Renata, si accascia affranto su una panca. Dopo essersi preso gioco del padrone della locanda con i suoi diabolici prodigi, Mefistofele si rivolge allo sconsolato Ruprecht. «La mia anima è come una viola scordata», confessa il cavaliere. Mefistofele si offre di sollevare il suo umore e di insegnargli il vero modo per essere felici. In cambio Ruprecht farà da guida per la città a lui e al suo amico Faust.

Atto quinto. La cripta sotterranea di un convento. Da quando Renata è entrata nel convento, lamenta la madre superiora, la pace ne è fuggita. Le suore sono tormentate da segni e rumori misteriosi, da visioni oscure e da terribili convulsioni. A combattere il peccato e riportare l’ordine è stato chiamato un Inquisitore. Renata si sente accusata ingiustamente e ribatte di essere lei la perseguitata dal Maligno; inveisce contro l’Inquisitore mentre altre suore, invasate, sono contagiate dai suoi accessi di mistica frenesia e le danzano attorno. Insieme a Mefistofele, sopravviene Ruprecht a osservare la scena da una galleria sopraelevata. Mefistofele gli addita Renata: «Guarda, non è lei che ha scordato la tua viola?» A quella vista il cavaliere vorrebbe gettarsi dalla galleria, ma Mefistofele lo trattiene. Quindi l’Inquisitore pronuncia la sentenza di condanna: la strega Renata sarà torturata e bruciata sul rogo per essersi congiunta carnalmente con il diavolo.

Come si può arguire dal concettoso carico di simbolismi dell’intreccio, le responsabilità del ‘lungo sonno’ dell’Angelonon possono essere addebitate soltanto alle ciniche esigenze di cassetta e allo scarso amore per il rischio degli impresari teatrali dell’epoca. Lo spunto dell’esoterico, greve e datato romanzo di Brjusov aveva lasciato in eredità al compositore un soggetto inconsueto e stimolante, ma anche una serie di nodi drammaturgici di arduo scioglimento. Se il gioco dell’ambiguità tra realtà e fantasia, che lascia la figura-chiave di Renata costantemente in bilico tra la follia isterica e le visioni mistiche, è funzionale allo spazio del ‘teatro di idee’ suscitato dal romanzo, nell’opera provoca non pochi problemi di equilibrio narrativo e di perplesso straniamento nello spettatore. Si è portati a dubitare della natura benefica o malefica dell’angelo, della veridicità delle rivelazioni di Renata e persino di una metamorfosi malefica toccata a Ruprecht, che nell’ultimo atto compare, in veste di novello Faust, al fianco di Mefistofele. Dunque un ‘dramma etico’ assai più che passionale, uno scontro tra intelletto e follia percorso di furori gotici e stregoneschi, dove si dibatte l’angosciosa sottigliezza dei confini che separano il mondo naturale dal soprannaturale, il bene dal male.

D’altro canto il misticismo dell’Angelo, prova lampante della saldezza dei mai spezzati legami del compositore con le radici del mondo letterario russo, è temperato proprio dalla sospensione del giudizio che lo caratterizza, dall’impossibilità di offrire risposte certe all’eterno conflitto tra santità e perdizione. Renata e l’Inquistore rappresentano gli estremi opposti di una medesima furia irrazionalistica; e dal gorgo tenebroso del loro conflitto solo lo scettico Ruprecht – verosimile proiezione del compositore, che nel periodo di stesura dell’opera si era sentito attratto dal movimento religioso ‘Christian Science’ – riesce a mantenere, pur nell’attrazione per ciò che va oltre i limiti della ragione, una salutare distanza. Gli enigmatici conflitti del testo trovano ulteriore amplificazione nella musica: rari i tocchi di grottesco umorismo (ad esempio le burle di Mefistofele), mentre balzano in primo piano, quali momenti celebri della più accesa e allucinata violenza fonica, tanto nelle parti vocali (in evidenza particolare nell’impervia parte vocale di Renata) che nell’orchestra, i grandi quadri del colloquio di Ruprecht con Agrippa e della condanna di Renata nell’ultimo atto. Le lacerazioni formali consentite dalla radicale modernità del linguaggio di Prokof’ev si sposano qui all’eredità simbolista di matrice russa: la figura dell’ostinato ritmico e melodico è il cemento della loro unione. A differenza della tecnica di sviluppo sinfonico del dramma, attraverso incessanti e complesse trasformazioni dell’impulso motorico dell’ostinato l’opera si fonda su ‘temi-reminiscenza’ che spaziano dal recitativo al declamato, alla piena espansione lirica. Un meccanismo di effetto ossessivo, che assieme dà coerenza e differenzia il trascolorare degli stati d’animo dalla calma ‘naturale’ all’agitazione del delirio, come è nel caso della duplice natura di Renata. Né è assente, nella tavolozza orchestrale di Prokof’ev qui lussureggiante più che mai, la spettrale e deformata ricreazione di contrappunti medioevali, che assume i toni aspri dell’inquietudine espressionista, con particolare evidenza ed efficacia nel grandioso quadro del quinto atto.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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