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Gallo d’oro, Il
[Solotoi petusciok] Opera fantastica in un prologo, tre atti e un epilogo di Vladimir Bel’skij, dalla fiaba omonima di Aleksandr Puškin
Musica di Nikolaj Rimskij-Korsakov 1844-1908
Prima rappresentazione: Mosca, Teatro Solodovnikov, 24 settembre [7 ottobre] 1909

Personaggi
Vocalità
Amelfa
Mezzosoprano
il gallo d’oro
Soprano
il generale Polkan
Basso
il principe Afron
Baritono
il principe Gvidon
Tenore
la regina di Cemachan
Soprano
lo zar Dodon
Basso
l’astrologo
Tenore
Note
Insieme alla stesura delleMemorie, Rimskij fece ancora in tempo a scrivere il suo testamento operistico, composto soprattutto nel biennio 1906-7, a un anno dalla morte. I tempi erano molto cambiati nella Pietroburgo di quegli anni, soprattutto dopo la sconfitta subita dalla Russia da parte del Giappone e dopo la rivoluzione del 1905, repressa dal potere nel sangue. Sono tempi difficili per Rimskij, sospettato dalla polizia zarista di collaborazionismo rivoluzionario. Puškin aveva scritto la fiaba in versiIl gallo d’oronel 1834, per criticare l’indolenza degli zar di allora, ma la parodia è efficace anche nel 1906. La fiaba del tirannico zar Dodon, che pretende di regnare dormendo, diviene molto allusiva: il paese era appena andato incontro alla distruzione della flotta e dell’esercito durante la guerra russo-giapponese. La rappresentazione dell’opera sollevò un clamoroso caso di censura: gli addetti volevano far tagliare numerose parti, ma l’autore si oppose e fece preparare una traduzione francese per far eseguire l’opera a Parigi. Non tutto venne appianato eIl gallo d’orodivenne, prima ancora di essere eseguita, un simbolo della rivolta antizarista. Rimskij, innervositosi per le incertezze e l’atmosfera minacciosa, fu colpito da un attacco diangina pectoris, del quale morì senza veder rappresentata la sua ultima fatica operistica: un’inquietante fiaba malefica.

Prologo. Un astrologo ammonisce gli spettatori di fare attenzione al senso della fiaba, inventata ma istruttiva.

Atto primo. Nel palazzo dello zar Dodon è riunito il consiglio. Lo zar si lamenta: sogna solo di dormire, ma i nemici minacciano il suo regno, mentre i suoi figli danno irrealizzabili suggerimenti militari. Giunge in soccorso l’astrologo, che consegna allo zar Dodon un uccello meccanico, un galletto-statua e una sentinella-sveglia che segnala i pericoli con il suo ‘chicchirichì’. Dodon si vuole sdebitare: alla prima occasione l’astrologo gli potrà chiedere tutto ciò che desidera. Lo zar si mette a letto, mentre la nutrice Amelfa gli canta filastrocche sui dolciumi. Ma la ninna-nanna è interrotta dall’allarme del gallo. Lo zar, assonnato, manda i giovani alla guerra e si rimette a dormire. Ma anche il secondo sonno è interrotto dal gallo: il nemico sopraggiunge, e questa volta egli stesso deve andare ad affrontarlo a capo di un esercito di veterani.

Atto secondo. L’armata di vegliardi spaventati descrive gli orrori della guerra, e Dodon scopre i cadaveri dei figli che si sono uccisi a vicenda. Da una tenda compare la regina di Cemachan, una fanciulla di orgogliosa bellezza, che intona un inno al sole. La regina dichiara di essere venuta a conquistare il regno di Dodon armata solo del suo fascino. In una scena di seduzione canora: la regina descrive la sua sensualità, la sua innocenza, persino la sua nudità. I figli si sono uccisi per lei, ma Dodon, ormai pazzo d’amore, non se ne cura. Si dichiara malinconica e infelice, e Dodon si offre di consolarla; ella lo trascina in una danza ammiccante e maliziosa. La regina lo deride, ma si fa portare nel suo regno.

Atto terzo. Nel regno di Dodon c’è apprensione: il popolo osserva con terrore il galletto immobile. Giunge il corteggio degli sposi, con animali e umani: vesti sgargianti, selvaggi, nani, giganti. Ritorna anche l’astrologo, che chiede allo zar in sposa la regina, come compenso per il gallo, con insistenza e malgrado il rifiuto di Dodon, finendo per prendersi un colpo di scettro in testa che lo fa stramazzare al suolo. Il gallo si alza il volo e becca la testa dello zar, mentre la regina scompare. Il popolo è attonito: lo zar è morto e non gli resta che intonare un canto di compianto.

Epilogo. L’astrologo resuscitato spiega: il pubblico non si turbi per il sangue sparso, solo lui e la regina sono figure vive, gli altri illusione: fantasmi e povere larve.

IlGallo d’oroè dunque una satira politica del regime autocratico, svolta con sottile demonismo burlesco: il feticcio iettatorio e vendicativo del galletto crea infatti un clima infido, molto distante dal mondo dei balocchi infantili tipico delloZar Saltan, precedente fiaba puškiniana. La ferocia della satira è resa acuminata dalla musica sottoposta a questa rissosa schermaglia fra marionette crudeli. In piena polemica antisentimentale, questi personaggi stilizzati cantano con forte tecnicismo strumentale: la freddezza del canto si coglie in quella bambola meccanica che è la regina di Cemachan, il cui orientalismo astratto esprime mirabilmente gli aspetti seducenti della malvagità femminile. Il libretto, di asciutto rigore ritmico, viene sorretto da uno stile musicale altrettanto pungente; l’orchestra è capace di durezze ben poco fiabesche, che già annunciano l’avvento dei grandi allievi di Rimskij destinati a maggior gloria: Stravinskij e Prokof’ev.Il gallo d’oroè pertanto opera di transizione fra il vecchio e il nuovo, nonché punto di arrivo in termini di modernità per un autore che si dimostra conservatore a parole e innovatore nella pratica.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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