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Mosè in Egitto
Azione tragico-sacra in tre atti di Andrea Leone Tottola, dalla tragedia L’Osiride di Francesco Ringhieri
Musica di Gioachino Rossini 1792-1868
Prima rappresentazione: Napoli, Teatro San Carlo, 5 marzo 1818

Personaggi
Vocalità
Amaltea
Soprano
Amenofi
Mezzosoprano
Aronne
Tenore
Elcia
Soprano
Faraone
Basso
Mambre
Tenore
Mosè
Basso
Osiride
Tenore
Note
La composizione di opere teatrali di argomento biblico nel periodo di quaresima, affermatasi a Napoli a partire dall’ultimo ventennio del XVIII secolo, rappresentava, come ha scritto Franco Piperno, «un compromesso tra la tradizionale devozionalità del periodo quaresimale e la favorevole disposizione del sovrano a concedere ad impresari, artisti e pubblico una stagione in più». Rispetto alla tragedia di Ringhieri, che gli servì da canovaccio, il librettista Tottola aggiunse l’intreccio amoroso tra il figlio del Faraone, Osiride, e la giovane ebrea Elcia, con il duplice scopo – le parole sono dello stesso Tottola – di «rendere più interessante» lo sviluppo della vicenda e di dare a Osiride una ragione chiara «perché costui potesse con maggior fervore impegnarsi presso il padre a trattenere schiavo in Egitto il popolo d’Israele». Apprezzata dal pubblico nei primi due atti, l’opera naufragò miseramente nel breve atto conclusivo, suscitando non solo aspre contestazioni, ma addirittura risate, pare anche a causa di inconvenienti tecnici verificatisi nella complessa scena del passaggio del Mar Rosso. L’anno successivo Rossini riscrisse completamente il terzo atto, aggiungendo fra l’altro la preghiera “Dal tuo stellato soglio”, destinata a divenire il brano più celebre dell’opera, e in questa nuova vesteMosè in Egittoottenne un autentico trionfo. A partire dagli anni Trenta dell’Ottocento, dopo il rifacimento francese del 1827, ?Moïse et Pharaon ou Le passage de la Mer Rouge,Mosè in Egittoscomparve praticamente dalle scene, per ritornarvi soltanto a partire dal 1981, con grandissimo successo.

Atto primo. L’Egitto è avvolto dalle tenebre che nell’Antico Testamento costituiscono la penultima delle piaghe che Dio, tramite Mosè, manda sull’Egitto per convincere Faraone a lasciare libero il popolo d’Israele (“Ah, chi ne aita? oh Ciel”). Faraone, suo malgrado, è costretto a far chiamare Mosè perché faccia cessare il flagello. Dopo aver udito da Faraone una nuova promessa di libertà, Mosè si rivolge a Dio perché renda la luce all’Egitto: e non appena Mosè scuote la sua verga, il giorno torna luminoso (“Celeste man placata”). Rimasto solo in scena, Osiride esprime tutto il suo dolore: la partenza degli Ebrei significa infatti per lui la perdita di Elcia, la fanciulla cui si è segretamente unito in matrimonio. Ordina allora al fido Mambre di convincere il popolo egizio a ribellarsi alla decisione di Faraone. Giunge quindi Elcia, per dare l’ultimo saluto all’uomo che ama, e i due giovani si confessano tutto il loro affanno (“Ah, se puoi così lasciarmi”). La trama di Osiride va a segno: la folla si raduna sotto il palazzo di Faraone per chiedere che venga revocato l’ordine di congedo per gli Ebrei; sobillato anche dallo stesso Osiride, che lascia balenare una possibile unione tra Ebrei e Madianiti contro l’Egitto, il re ribalta la sua decisione. Mentre gli Ebrei stanno inneggiando a Dio, Osiride in persona comunica loro che la partenza è sospesa e minaccia di soffocare nel sangue qualsiasi tentativo di ribellione. All’arrivo di Faraone, che conferma quanto annunciato dal figlio, Mosè scuote di nuovo la sua verga e una pioggia di grandine e fulmini cade di colpo sull’Egitto (in questo frangente, la vicenda si distacca per esigenze drammaturgiche dai testi sacri, nei quali la piaga della grandine era la settima).

Atto secondo. Faraone, piegato dall’ennesimo flagello, annuncia la sua intenzione di lasciar liberi gli Ebrei e contemporaneamente comunica a un costernato Osiride che la principessa di Armenia è pronta a sposarlo (“Parlar, spiegar non posso”). Il principe prende allora una drastica decisione: fuggire insieme a Elcia. Ma mentre i due giovani si allontanano, vengono visti da Aronne, che immediatamente avverte Mosè e la regina egiziana Amaltea, che ha preso a cuore la sorte degli Ebrei. Osiride, condotta Elcia in un sotterraneo per nasconderla, le svela i suoi progetti: rinunciare al suo trono e vivere con lei, lontano dai fasti della reggia (“Quale assalto, qual cimento”). L’arrivo di Mosè e Amaltea provoca un istante di smarrimento generale (“Mi manca la voce”); quindi Osiride annuncia la sua intenzione di rinunciare al trono, mentre Elcia tenta di dissuaderlo. Poco dopo, Faraone comunica a Mosè che l’attacco di Madianiti e Filistei all’Egitto impone di rimandare la partenza degli Ebrei; alla violenta reazione di Mosè, che minaccia la morte di tutti i primogeniti degli Egiziani, ne ordina l’arresto (“Tu di ceppi m’aggravi la mano?”). Chiamati quindi tutti i Grandi del regno, e gli stessi Ebrei, comunica la sua intenzione di associare Osiride al trono. Le minacce del principe a Mosè provocano la reazione di Elcia, che, dopo aver svelato a tutti la sua unione con Osiride, prega il principe di liberare il popolo ebraico e di seguire il suo destino di re. Per tutta risposta Osiride si scaglia con la spada contro Mosè, ma viene colpito da un fulmine e stramazza al suolo privo di vita. Fra la costernazione e lo stupore di tutti i presenti, Elcia dà sfogo a tutto il suo dolore (“Tormenti, affanni, smanie”).

Atto terzo. Gli Ebrei innalzano la loro preghiera a Dio sulle rive del mar Rosso (“Dal tuo stellato soglio”). L’annuncio del sopraggiungere di Faraone con il suo esercito suscita terrore, ma Mosè, stesa la sua verga sopra le acque, apre un varco al passaggio del suo popolo. Quando Faraone, per inseguire gli Ebrei, si lancia a sua volta nel medesimo varco con le sue truppe, tutti vengono travolti e sommersi dalle acque che si richiudono di colpo.

La recente riapparizione delMosè in Egittosulle scene ha permesso a critici e spettatori moderni di fare la conoscenza con un’opera straordinaria. La somma arte di drammaturgo musicale di Rossini appare ai massimi livelli fin dalla scena di apertura, in cui la mirabile architettura formale si sposa a un effetto drammatico di rara intensità. Calibratissima è la caratterizzazione dei personaggi, di cui esempio particolarmente significativo è proprio la figura del protagonista: a Mosè, al profeta scelto da Dio per manifestare la sua volontà, Rossini affida una sola aria, privilegiando uno stile di canto declamato – si pensi in particolare al maestoso recitativo “Eterno, immenso, incomprensibil Dio” nel primo atto – che traduce al meglio la ieraticità del personaggio. A ciò si aggiungono la ricchezza e la varietà delle forme impiegate, uno stile di canto di rara espressività, efficacemente bilanciato dalla maestria della scrittura orchestrale; due esempi su tutti: la tortuosa figurazione melodica, che si riavvolge continuamente su se stessa, con la quale Rossini descrive le tenebre iniziali, e la magnifica introduzione alla scena del sotterraneo.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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