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The Banquet
Opera in un atto con un prologo di Kenneth Koch
Musica di Marcello Panni
Prima rappresentazione: Brema, Teatro Concordia 28 giugno 1998

Personaggi
Vocalità
André Breton
Basso-Baritono
Filippo Tommaso Marinetti
Basso-Baritono
Francis Picabia
Gertrude Stein
Mezzosoprano
Giorgio De Chirico
Ida Rubinstein
Isadora Duncan
Mezzosoprano-Contralto
Jean Cocteau
Tenore
Jean-Luc / Erik Satie
Baritono
Joséphine Baker
Soprano
Marie Laurencin
Soprano
Michel / Guillame Apollinaire
Tenore
Olga Picasso
Pablo Picasso
Basso-Baritono
Tristan Tzara
Tenore
Z. Fitzgerald
Mezzosoprano-Contralto
Note
Banquet, banchetto, simposio: è una lunga conversazione sull'amore, non, come nel celebre dialogo di Platone, fra Socrate e i suoi interlocutori nell'Atene del 400 a. C., ma fra i protagonisti dell'avanguardia parigina di primo Novecento. Erik Satie, Pablo Picasso insieme alla gelosissima Olga, Gertrude Stein con l'ombra fedele e immancabile della silente e misteriosa Alice Toklas, Filippo Tommaso Marinetti che arriva dall'Italia a cantare il suo amore per velocità e macchine, un Jean Cocteau che vagheggia l'eterno, sfuggente, sempre giovane mistero del desiderio amoroso, e intanto già sente sfuggire lo stato di grazia dell'"enfant terrible", la pittrice Marie Laurencin e il suo antico amante, il poeta Guillaume Apollinaire che giunge, reduce dal fronte e ferito, al culmine del banchetto. Alla fine faranno irruzione Ida Rubinstein, Joséphine Baker, Isadora Duncan, Francis Scott Fitzgerald con Zelda, Picabia, Tzara, De Chirico...
È chiaro che, prima di questa gioiosa invasione che è anche l'annuncio della prossima fine della guerra e proiezione su nuove icone, nuovi eroi, nuovi umori, nuovi modi e ritmi dell'arte, il discorso amoroso di Picasso e degli altri è anche e soprattutto una poetica dell'eterna distruzione delle forme e della loro superba e sfrontata evidenza (Picasso); poetica della parola e del suo giocare intorno a fondamenti inafferrabili dell'essere, perché l'amore è l'amore come una rosa è una rosa (Gertrude Stein); poetica futurista delle macchine, del loro frastuono, del "dio veemente di una razza d'acciaio" (Marinetti); poetica della leggerezza del vecchio bambino Satie, l'antico pianista del cabaret "Le Chat Noir" che scioglie il suo inno a una ragazza-morceau facile facile, a forma di pera ma limpidamente formata in trentadue battute di due quarti e tranquillamente accarezzabile lungo i tasti del pianoforte.

Igor Stravinskij, dov'è finito? Invitarlo a questo banchetto sarebbe stato doveroso per completare il quadro di genialità cosmopolita della Parigi anni '10-20, nelle cui cronache l'esecuzione del Sacre du printemps è notoriamente evento centralissimo. In realtà il maestro russo non manca affatto. Infatti subito avvertiamo che The Banquet prosegue musicalmente la falsariga 'neo-neoclassica' della stravinskijana Carriera di un libertino (1951), non solo e non tanto per isolate citazioni, ma per l'impianto generale, attraverso il recupero di forme metastoriche più o meno chiuse (recitativi e arie, ensemble e cori), per un'aria di famiglia di linguaggio limpidamente neo-tonale e tutt'altro che alieno da plasticità e cantabilità.

A ogni epoca il suo neoclassicismo che viene a ricomporre il mondo dei segni. Certo ci si può chiedere fino a che punto la formula neoclassica di The Rake's Progress (La carriera di un libertino) sia ancora ripetibile, se nell'ormai lontano 1951 non fossero stati - domanda retorica - il genio di Stravinskij e quello di W. H. Auden e C. Kallmann (autori del libretto della Carriera di un libertino) a dare vigore a quella ricapitolazione. Qualcosa di simile, di geniale, beffardo e vigoroso, nell'ambito di una ricomposizione di forme, se si vuole, neoclassica, ha fatto il grande Ligeti con il suo Grand Macabre, non a caso una delle poche opere realmente fortunate degli ultimi decenni. Ma a Panni va riconosciuta una nobiltà di orizzonti che non troveremmo in altri compositori neoromantici e neotonali italiani (ma non solo), che negli anni Ottanta e Novanta la "coperta Stravinskij" l'hanno davvero tirata a banalissimi approdi. C'è una malinconia di fondo che permea questa ricapitolazione, dando qua e là alla musica di The Banquet qualcosa di non scontato, di assorto e struggente: dall'uso del timbro parigino per eccellenza, l'accordeon, alla qualità talvolta realmente suadente dei profili melodici come certe venature di patetismo che Panni forse ha bevuto alla fonte del suo prediletto Pergolesi (e anche qui, se pensiamo allo stravinskijano Pulcinella, i conti tornano), alle delicate armonie che circondano il personaggio più amorosamente messo a fuoco, Marie Laurencin.

Argomento: Nel prologo, Michel e Jean-Luc ricordano un leggendario banchetto parigino alla Closerie des Lilas convocato da Erik Satie per parlare dell'amore. Si introducono nottetempo nel luogo dov'è conservato il menu firmato dai partecipanti in cui essi trovano conferma che questo convivio sull'amore è realmente avvenuto, e passano a rievocarlo. Siamo nel 1918, verso la fine della guerra. Satie ha invitato Picasso, Gertrude Stein, Cocteau, Marinetti, Marie Laurencin e Apollinaire. In un miscuglio di monologhi sull'amore e di danze più o meno moderne e moderniste (habanera, valzer, blues, boogie-woogie, foxtrot, barcarola, tango e cancan) e con l'intermittente commento del coro, ciascuno espone una visione dell'amore, ma le dolenti riflessioni di Marie Laurencin sul finito amore con Guillaume Apollinaire interrompono la limpida e filosofica sequenza. Giunge dal fronte il poeta; alla fine un coro fa irruzione annunciando la prossima pace, con le nuove icone della scena e cultura di una Parigi oramai proiettata negli anni Venti.

Fonte: Elisabetta Torselli su Drammaturgia.it


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