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Outis
Azione musicale in due parti su libretto di Luciano Berio e Dario Del Corno
Musica di Luciano Berio 1925-2003
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 5 ottobre 1996

Personaggi
Vocalità
Ada
Mezzosoprano
Emily
Soprano
Guglielmo
Controtenore
il Doppio di Emily
Soprano
il Doppio di Outis
Baritono
il prete/il reduce
Tenore
il regista
Baritono
il suggeritore
Recitante
Isaac
Mimo
Marina
Soprano
Olga
Soprano
Outis
Baritono
Pedro
Basso-Baritono
Rudy
Mimo
Samantha
Soprano
Steve
Tenore
Note
L’azione musicaleOutis, terminata nel 1996, prosegue il cammino intrapreso da Berio, nel campo del teatro musicale, fin daPassaggio(1962). Nel programma di sala il compositore stesso svela premesse che fannosostanzialmenteparte della sua estetica: «La variabilità della musica, del testo e della scena è la costante ‘narrativa’ diOutis, che resta comunque ancorato a condizioni strutturali non prescrittive, ma intese a proteggere una coerenza sintattica e, appunto, espressiva. Questa variabilità permette di percepire figure e fatti diversi in una stessa luce, oppure permette di cogliere il senso di una cosa sola in luci e prospettive musicali sempre diverse. Nei cinque cicli affiorano, ogni tanto, frammenti di storie già dette e diviaggigià compiuti, da Omero a Catullo, da Auden a Brecht, a Joyce, a Melville, a Sanguineti, a Celan ed altri ancora. I cinque cicli cominciano sempre dalla fine (con l’uccisione delpadre) e ripercorrono uno stesso paradigma narrativo o parte di esso. Nel dialogo tra le due temporalità, quella della musica e quella delle immagini, è la qualità del tempo della musica che ha il sopravvento e che ci permette di scrutare, analizzare e commentare quello che sta davanti ai nostri occhi, condizionandone la percezione».

Sempre in occasione della ‘prima’ scaligera, il grecista Dario Del Corno prende spunto dal titoloOutis(Nessuno) per introdurre il suo testo e, più in generale, il suo lavoro con Berio: «‘Outis emoi g’onoma’, Nessuno è il mio nome, risponde Ulisse al ciclope Polifemo; ironia e astuzia si associano nella repentina invenzione, che salverà l’eroe omerico del gigante antropofago. Attraverso la sigla dell’enigmatica battuta, conOutisdi Luciano Berio ancora una volta Ulisse si instaura perentoriamente nell’universo dell’arte, impone le molte facce della sua persona come un passaggio obbligato per ripensare la condizione umana secondo quanto richiede il trasformarsi dei tempi. Ma con il suo personaggio Berio condivide la sapienza dell’ironia, il gusto della mistificazione – e l’ingannevole titolo afferma, e al tempo stesso nega un’identità. Outis è l’Ulisse di Omero e della lunga tradizione che da lui si diparte, e al tempo stesso non lo è – o piuttosto, è anche qualcosa d’altro: colui che, rifiutando un nome, elude l’arbitrio di ogni identificazione». Già queste parole indicano una caratteristica fondamentale dell’opera, vale a dire la mancanza di uno svolgimento narrativo lineare. Ancora una volta, come nei suoi lavori teatrali precedenti, Berio costringe l’ascoltatore a riflettere sul processo creativo al quale è chiamato a partecipare. Tutti diventano protagonisti, poiché ognuno riflette nell’evento musicale una parte di se stesso, condividendo il ruolo del compositore, degli interpreti e degli altri spettatori. Tale molteplicità percettiva è accentuata dalla presenza, nel testo, di varie lingue o dialetti moderni e antichi, come accade anche in altre sue opere e in particolare inPassaggio. Per questo, l’apparente distanza dal tradizionale codice melodrammatico rivela un diverso e più sfaccettato recupero deldivenirenarrativo. Il senso formale deriva da un equilibrio e da una complessità di rimandi interni che, da un lato, forgiano una partitura di straordinaria compattezza tecnica e stilistica, dall’altro si traducono in un’energia comunicativa e in una profondità espressiva riconoscibili e leggibili a diversi livelli. Con estrema naturalezza, il sofisticato addensarsi linguistico si scioglie in presa emotiva immediata. Invece diunastoria, incontriamomoltestorie sminuzzate e ricomposte in modo libero e imprevedibile.

Atto primo. Tutti i cinque cicli cominciano con l’immagine edipica di Outis ucciso da Isaac, il figlio che ha avuto da Emily. Il ‘doppio’ di Outis, però, continua a vivere. A tale ‘punto’ di avvio – che è anche punto di arrivo e comunquemomentoche smentisce la durezza del tempo, trasformando l’attimo in eternità – corrisponde, in funzione di ‘sigla’, la nota si bemolle. Il primo ciclo vede l’arrivo di Steve, figlio di Outis e di Samantha, anch’egli in cerca del padre che non conosce. Segue una folla di persone e animali con il banditore Pedro, che organizza un’asta. Appare Emily, che «era o forse è» moglie di Outis, con il bambino Rudy, inghiottito dal corpo dilatato di Pedro finché Outis stesso non riesce a sgonfiarlo. La folla scompare: la sarta Ada veste Emily da sposa. Riconosciamo alcuni personaggi teatrali diUn re in ascolto: oltre alla sarta (il cui nome coincide, tra l’altro, con una delle protagoniste dellaVera storia) e al regista, c’è anche il suggeritore (che in qualche modo corrisponde all’attore Venerdì, anch’egli voce recitante) ed è il solo a dirci qualcosa riguardo a Outis, con una frase che annuncia, a ogni ciclo, il rinnovarsi della sua esistenza. Il secondo ciclo si apre sullo spazio concitato di una banca, dove il regista organizza alcuni affaristi, che scherniscono Outis. Gli impiegati sono in realtà ragazze, che attirano Outis con gesti di seduzione. Marina si accosta a Outis, che la abbraccia. Samantha e Olga si abbandonano a gesti erotici: la scena si trasforma in un bordello. Giunge anche Emily; si sdraia e tra le sue gambe si apre una galleria che occupa la scena e ingloba tutti i personaggi. Nel terzo ciclo, Outis e Steve si trovano in un supermercato: sugli schermi in scena appaiono immagini di guerra e di violenza. Steve prende un libro e si mette a leggere, quando giungono i deportati.

Atto secondo. Nel quarto ciclo il regista cerca di inscenare una guerra con un gruppo di bambini, che si rifiutano di partecipare a quel gioco perverso e si fanno proteggere da Outis. Compaiono infermieri e un ferito, tra i quali si mescolano i clown. Il regista fugge. Ada offre una fisarmonica, un violino piccolo e un trombone ai clown, che si mettono a suonare. Giungono gli esuli, che si abbracciano teneramente insieme ai bambini. Quinto ciclo: su una nave da crociera. Mentre vengono proiettati su degli schermi dei paesaggi marini ed esotici, scoppia una tempesta. Outis si ritrova su una spiaggia e si risveglia dopo che Marina si è accostata a lui dolcemente e si è allontanata. Steve lo aiuta ad alzarsi e si allontana anch’egli. Outis ed Emily, con i loro doppi, cantano come se fossero gli interpreti di un concerto, accompagnati da due pianoforti. Gradualmente, escono dalla scena i Doppi ed Emily. Outis, rimasto solo, si appresta a ricominciare il suo canto.

Nell’intreccio di riferimenti, riprese e sviluppi del materiale (che si articola attraverso un uso capillare della tecnica della derivazione tematica), si inseriscono non solo le memorie letterarie del testo, ma ancheflashbackcreativi e visionari sulle opere precedenti di Berio. Così, nel primo ciclo, riconosciamo l’asta consumistica e insensata diPassaggio, mentre la simbolica tempesta del quinto ciclo è una sorta di rievocazione emotiva dellaTempestadi Shakespeare già filtrata, inUn re in ascolto, attraverso le riflessioni di Auden inThe Sea and the Mirror(Il mare e lo specchio). Il luogo dell’incontro – festa, teatro, crociera, supermercato, banca – denuncia l’omologazione sociale che alimenta aggressività e si smussa solo grazie alla fantasiosa schiettezza dei bambini. Un’importante funzione di risonanza emotiva è affidata, come inOperae inLa vera storia, all’ottetto vocale, che introduce un’ulteriore dimensione acustica, musicale e drammaturgica. Ma la vera protagonista del’opera è ancora la Memoria: come l’inconscio, la sua fluida consistenza non ha un sopra e un sotto, un’entrata e un’uscita, un prima e un poi. La partitura è tutta un incresparsi, un ricamare flussi e riflussi su un materiale incantatorio ricolmo di simbologia storica e archetipica. Affiorano reminiscenze di episodi di altre opere di Berio, come Memoria daOperao Il ricordo dallaVera storia.

L’elemento femminile accoglie e protegge, sconfinando dalla tenerezza materna e coniugale alle più elementari pulsioni erotiche. La solidarietà affettiva di Emily, la suadente tenerezza di Marina, il potere di seduzione di Olga e Samantha si sovrappongono e si confondono come aspetti complementari, che ognuna di loro condivide con le altre e con Outis. Solo alla donna è concesso infatti di ricondurre al ciclo ininterrotto di vita – morte – rinascita quella concezione del tempo aperta e circolare che riconosciamo in Goethe e in Nietzsche ma anche in Mozart o in Joyce. La mitologia greca antica è infattifabulache rifiuta gerarchizzazioni o schematismi. Tutto procede per analogie, riconoscimenti, sim-patie, contrasti, perdite, com-passioni.

Questo fantasioso e nello stesso tempo coerentissimo sviluppo porta alle estreme conseguenze il procedimento compositivo, ad esempio, diLa vera storia. Mentre lì era soprattutto il rapporto tra la prima e la seconda parte (sorta di parodia o di ritornello della prima) a tratteggiare un tempo ricurvo, inOutisle deviazioni e i riflessi diventano il tessuto connettivo dell’opera. Spesso acquistano rilevanza simbolica cellule strutturali fondate sull’intervallo di tritono (già fortemente evocativo inOpera), qui associato alla quarta giusta. Tra i molti esempi, all’inizio del terzo ciclo, proprio l’uso sapiente degli intervalli di quarta giusta e aumentata crea un clima sospeso e avvolgente. Pur mantenendo un alone tipicamente espressionista, questi due intervalli acquistano una coloratura timbrica originale data dall’inconfondibile strumentazione di Berio. E sulla dissolvenza incrociata tra le arie di Outis (“Un du – e tuâ€) e quella di Steve (“Evò se menoâ€), prende consistenza un’aura antica e archetipica, che ricorda il cullante e nostalgico finale diOpera(“E vóâ€), anche per il carattere popolare e la significativa analogia, nel testo, dell’incipit. Ancora una volta, è alla musica e al canto che spetta il compito di custodire l’ultimo segreto, l’indicibile indizio per rintracciare un senso. Riaffiorano le atmosfere della Ballata V o della Prigione diLa vera storia. Il profilo emotivo dei cicli recupera la narratività nei suoi elementiessenziali. C’è quasi un’esasperazione virtuosistica degli artifici tipicamente discorsivi (esposizione, tensione, accumulo, svuotamento, ripresa, ricordo, intreccio) trasformati, da semplice mezzo, in soggetto che invade completamente lo spazio percettivo. La musica, assecondando una concezione più cinematografica che letteraria, richiama le immagini: la loro invadenza può diventare metafora di un universo tecnologico e consumistico dove l’apparenza sostituisce la realtà, come segnala la presenza ossessiva degli schermi o il dilatarsi e moltiplicarsi dell’occhio alla fine del terzo ciclo. Oppure, può custodire panorami naturalistici rassicuranti; ecco perché l’articolazione musicaledirezionala regia in senso drammaturgico. Ma la plasticità vocale si modella anche sulle minime inflessioni del testo suggerendo, oltre al piano onirico e associativo, una dimensione di simbiosi linguistica con la parola nelle sue radici ancestrali, come nel coro dei deportati del terzo ciclo.

L’ironia volge talvolta verso il sarcasmo e l’angoscia, talvolta verso una malinconica e sorridente tenerezza. La guerra, la malattia e il dolore straripano dalle ondate di musica che travolgono lo spettatore, ma è il canto che stilizza illogos. Non per niente Homunculus, nelFaustdi Goethe, si trasforma da pura voce in corpo congiungendosi, nel mare, con la bellissima Galatea. A differenza della lenta agonia di Prospero, che occupa tutta la seconda parte diUn re in ascolto, qui la morte è data come attimo ed eternità, come passato e presente che si incontrano e si smentiscono.

In Outis, Marina-Galatea (che è anche Emily, Olga, Samantha e molti altri personaggi mitici femminili) evapora e si ricondensa facendosi, ancora una volta, suono, voce e canto e trasformando così il tempo rettilineo del lavoro e della guerra, della frustrazione e degli affari, del potere e dell’immobilità, nella duttile espansione del tempo musicale ed erotico. L’Odissea, antico esempio di narrazione infinita nasce, come l’amore, dal contatto con il diverso, che scatena intreccio e intrico, ironia, sorpresa, rischio, peripezia, complicità. Il canto e l’acqua scardinano le geometrie cartesiane e la concezione di un tempo esclusivamente quantitativo. Maschile e femminile, alto e basso, attori e spettatori, angoscia e speranza scivolano gli uni negli altri; l’individuo diventa il riflesso dei suoi incontri. L’amore si fa portavoce di una più vasta possibilità di comunicare, che non può essere costretta in tipologie farisee. Non più, dunque, un’unica direzione del tempo e della morale, ma l’apertura alle diversità, alla compresenza e alla reciproca tolleranza di atteggiamenti,storiee culture.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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