Home Page
Consultazione
Ricerca per categorie
Ricerca opere
Ricerca produzioni
Ricerca allestimenti
Compagnia virtuale
Servizio
Informazioni e FAQ
Condizioni del servizio
Manuale on-line
Assistenza
Abbonamento
Registrazione
Listino dei servizi
Area pagamenti
Situazione contabile


Visualizzazione opere

Ippolito ed Aricia
Tragedia per musica in cinque atti di Carlo Innocenzo Frugoni, dal libretto di Simon-Joseph de Pellegrin per Hippolyte et Aricie di Rameau
Musica di Tommaso Traetta 1727-1779
Prima rappresentazione: Parma, Teatro Ducale, 9 maggio 1759

Personaggi
Vocalità
Aricia
Soprano
Diana
Soprano
Enone
Soprano
Fedra
Soprano
gran sacerdotessa
Soprano
Ippolito
Soprano
Mercurio
Soprano
Plutone
Basso
Teseo
Tenore
Tisifone
Soprano
una cacciatrice
Soprano
una marinaia
Soprano
Note
L’approdo come maestro di cappella alla corte ducale di Parma, nel 1758 (dopo i primi sette anni di carriera operistica, vissuti tra Napoli, Roma, Venezia e altri centri minori), rappresenta nella vicenda artistica di Traetta un momento decisivo. Il contatto con l’ambiente illuministico di Parma, crocevia diphilosophese letterati riformatori, contribuì a orientare i suoi interessi di compositore verso orizzonti nuovi, estranei alla normaleroutinedi un musicista teatrale nell’Italia di metà Settecento. In quegli anni la città era, teatralmente parlando, una testa di ponte dell’opera francese nell’Italia metastasiana, grazie all’opera del primo ministro Du Tillot, convinto assertore di un rinnovamento del melodramma italiano sull’esempio dellatragédie lyrique, vale a dire mediante l’innesto di cori, danze e recitativi accompagnati. Non soddisfatto di importare opere dalla Francia (quelle di Rameau innanzitutto), Du Tillot commissionò a Traetta e al poeta di corte Frugoni una versione italiana diHippolyte et Aricie, già musicata da Rameau nel 1733.

Pur con qualche semplificazione, la vicenda rimase inalterata nei suoi nodi fondamentali: rivelazione dell’amore tra Ippolito (figlio di Teseo) e Aricia, con conseguente rinuncia della giovane a farsi sacerdotessa di Diana (atto primo); discesa di Teseo agli inferi, nel vano intento di liberare l’amico Piritoo prigioniero (atto secondo); inutili manovre di Fedra per sedurre il genero Ippolito e improvviso ritorno di Teseo, al quale viene fatto credere che sia stato Ippolito a macchiarsi di un amore incestuoso (atto terzo); proteste inascoltate di innocenza da parte di Ippolito al cospetto del padre, e suo estremo addio ad Aricia nel bosco sacro a Diana (atto quarto); confessione e suicidio di Fedra, quindi scioglimento dell’intrigo a opera di Diana, scesa dal cielo per risuscitare Ippolito (nel frattempo morto, calpestato dai corsieri di Teseo) e benedire l’unione dei due giovani (atto quinto).

L’auspicato connubio di musicalità italiana e impianto spettacolare francese si traduce in un ibrido senza dubbio inedito e accattivante, ma non determina una vera fusione dei due elementi. Dai modelli d’oltralpe provengono i mirabolanti giochi di macchine (ben due apparizioni di Diana, nel primo e nell’ultimo atto, oltre a un secondo atto ambientato nell’Ade e ‘soprannaturale’ dall’inizio alla fine), così come i grandi quadri decorativi con cori e danze (uno alla fine di ogni atto: danzano via via le sacerdotesse di Diana, le divinità infernali, i marinai inneggianti al ritorno di Teseo, cacciatori e cacciatrici e, in ultimo, i pastori per festeggiare le nozze dei protagonisti); altri episodi corali e danzati compaiono inoltre nel corso degli atti, ma solo eccezionalmente legati all’azione (la danza delle furie a metà del secondo atto, che guarda apertamente ai precedenti francesi). Il recitativo accompagnato è presente in misura maggiore rispetto alle opere serie italiane, ma pienamente italiano è il suo trattamento stilistico; permangono inoltre ampie zone di recitativo secco. Malgrado l’innesto di francesismi, il cuore dell’opera resta comunque l’aria, intesa nel senso italiano del termine, per lo più nella forma conda capoe con tutto il suo corredo di convenzioni retoriche (arie ‘di paragone’, ‘d’ira’, ‘d’ombra’, oppure volte a evocare l’immagine di ‘aure’ e ‘zeffiri’). Il canto di coloratura è sparso a piene mani e il ritratto dei personaggi appare perciò filtrato, anche in momenti di forte concentrazione emotiva, attraverso la selva degli abbellimenti, non senza esiti di notevole eleganza, come nei casi di abbinamento della voce con gli strumenti a fiato (flauti, oboi e soprattutto corni, in omaggio allo sfondo venatorio). La squisitezza tutta rococò che emana dalle arie viene contraddetta solo in casi eccezionali, quali l’aria di Plutone (“Per l’onor dell’offeso mio regnoâ€) dal martellante metro decasillabo, risolto in un travolgente Prestissimo, o l’espressione di smarrimento di Ippolito nell’aria ‘parlante’ in do minore (“Deh questo cor lasciateâ€): entrambe peraltro non estranee alle convenzioni del melodramma italiano coevo.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


Credits - Condizioni del servizio - Privacy - Press Room - Pubblicità