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Bassariden, Die
Opera seria in un atto di Wystan Hugh Auden e Chester Kallman, dalle Baccanti di Euripide
Musica di Hans Werner Henze 1926-
Prima rappresentazione: Salisburgo, Großes Festspielhaus, 6 agosto 1966

Personaggi
Vocalità
Agave
Mezzosoprano
Autonoe
Soprano
Beroe
Contralto
Cadmo
Basso
Dioniso
Tenore
il capitano della guardia
Baritono
Penteo
Baritono
schiava di Agave
Mimo
Tiresia
Tenore
una fanciulla
Mimo
Note
Quando l’ancor giovane Henze (1926) comincia a scrivereDie Bassariden, nell’ottobre 1964, subito dopo aver composto l’opera comicaDer junge Lord, ha già alle spalle molte e importanti esperienze di teatro musicale, tra le qualiBoulevard Solitude,Elegie für junge Liebende,Re cervo(versione ridotta dell’originarioKönig Hirsch); l’operaDie Bassariden, commissionata dal Festival di Salisburgo, appare quindi quando il suo nome è già internazionalmente noto, benché difficilmente collocabile in una corrente o in un filone preciso della musica contemporanea. A differenza di molti compositori della sua generazione (ma anche di alcune precedenti e di molte successive), Henze ama e crede nell’opera in musica; vale a dire che considera lanarrazionemusicale come un valore imprescindibile dell’espressività individuale e collettiva. Insofferente dei dettami dell’avanguardia, ma altrettanto lontano da nostalgie passatiste, pensa alla sostanza del suo messaggio senza sentirsi costretto entro i confini astratti della tonalità o dell’atonalità, dello sperimentalismo o della tradizione; con grande anticipo rispetto a una consapevolezza culturale più recente, cerca il senso dellamodernitànel modo in cui gli elementi linguistici si combinano e si ripensano: è nelle fessure dell’espressione musicale (dove i segni sono a diversi livelli riconoscibili, da un pubblico di profani o dagli studiosi e appassionati) che si rispecchia la sensibilità di un Novecento duttile e, in quanto tale, veramente trasgressivo. ProprioDie Bassaridencostituiscono perciò il punto d’incontro e di riflessione di alcune fondamentali caratteristiche della sua estetica: l’impegno politico e lo sforzo di salvaguardare lo spirito libertario, evitando la degenerazione dogmatica. Ecco perché il tema dell’antagonismo tra il pensiero vitalistico, spregiudicato e corporeo di Dioniso e quello più legalitario e spirituale di Penteo lo tocca particolarmente. Dell’originale tragedia di Euripide, Auden e Kallman (poeti illustri e, ricordiamo, collaboratori di Stravinskij) scelgono solo alcuni punti focali; i quattro movimenti, nei quali si articola l’atto unico, ripropongono continuamente il tema della fluidità e della metamorfosi: oltre al dilemma di ciò che rivoluzione e reazione possono provocare se privi di tolleranza affiora, metaforicamente, il problema del linguaggio, anche e soprattutto musicale. Henze coglie appieno i legami tra il mito di Dioniso e quello di Orfeo, ponendo i simboli del teatro, della musica e della poesia a stretto contatto con quelli della vita, dell’eros e della fertilità; a differenza della tragedia di Euripide, l’opera non termina, infatti, sul vuoto e sul silenzio di un interrogativo irrisolto, ma sulla luce di una circolarità vitale, che rifiuta ogni rigida scissione tra la mente e il corpo. Scissione prospettata da Penteo, al punto da fargli rinnegare la ricchezza del mito e dell’amore; ma anche scissione prospettata dal monoteismo cattolico, dallo spiritualismo (camuffato) dell’avanguardia musicale e dallo sguardo al passato – sempre in un’unica direzione – delle varie correnti ‘neo’. Tutto invece, inDie Bassariden, circola e ritorna, tanto che il Dioniso di Henze sembra includere, oltre all’originario germe euripideo, il pensiero di Nietzsche; così, anche i riferimenti psicoanalitici alludono sì all’incapacità di Penteo di accettare le proprie pulsioni inconsce, ma anche al pericolo che cova sotto ogni ‘coperchio’ posto sopra la libera espressione (politica, esistenziale, artistica). Significativi anche i temi della maschera e della compresenza di maschile e femminile: tutti ricalcati e animati musicalmente dal perenne incontro-scontro tra l’elemento lirico e quello percussivo, tra le zone di consonanza e quelle di dissonanza, dove la ‘chiusura’ e l’incapacità di aprirsi al pensiero ‘altro’ generano sempre (senza alcuna esclusione, quindi anche nel caso dello stesso Dioniso) il pericolo di una crudeltà ottusa e immobile. Il soggetto classico tocca quindi un nodo cruciale della cultura (ma anche del pensiero politico e filosofico) del Novecento; Henze lo interpreta attraverso le scansioni delle forme sinfoniche tradizionali, scovandone i significati più sfaccettati e nascosti grazie a una scrittura sapiente, ricca, varia e teatrale. Una successione ininterrotta di idee musicali e drammaturgiche ci guida in un percorso commovente e indimenticabile: il primo movimento è leggibile come una forma-sonata, che subito introduce il contrasto tra i due temi e tra i due personaggi principali; il secondo movimento è a metà strada tra uno scherzo sinfonico e una suite bachiana, l’Adagio è inframmezzato dallo stupendo Intermezzo ‘Il giudizio di Calliope’ e il finale è ordito come una monumentale passacaglia. Ma un filo conduttore collega le quattro sezioni, coinvolgendo tutti i personaggi in una sfera linguistica che sfrutta attitudini antiche e innovative intuizioni con la stessa eccezionale libertà interiore; libertà che si riflette simbolicamente su una più ampia concezione dell’umano e della sua energia creativa.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

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