Il dramma venne commissionato a Metastasio per le nozze tra i futuri imperatori asburgici: l’arciduchessa Maria Teresa e il duca di Lorena Francesco Stefano. L’occasione ispirò al poeta di corte un soggetto che conciliasse la passione amorosa e il desiderio della gloria all’interno di uno spettacolo molto complesso, ricco di cori e di scene grandiose, ma spesso anche ironico e comico, in una felice mediazione tra i generi della festa teatrale e del dramma eroico.
Tetide ha nascosto sull’isola di Sciro sotto spoglie femminili il figlio Achille, per evitargli la morte profetizzatagli nella guerra di Troia. Il dramma si sviluppa dall’arrivo a Sciro di Ulisse, inviato dai Greci, che riuscirà , con un piano abilmente concepito, ad accertare la presenza di Achille sull’isola e a convincerlo a partire. Complicazione fondamentale della vicenda è la relazione d’amore tra Achille e Deidamia, figlia del re di Sciro: relazione quasi totalmente segreta – è nota solo a Nearco, confidente di Tetide – e freno primario ai piani di Ulisse. Da un lato la ragazza cercherà , in un gioco continuo di sguardi e rimproveri, di far valere il peso degli affetti; dall’altro Achille subirà sempre più sensibilmente il richiamo della vita guerriera cui è stato da sempre educato, vocazione astutamente risvegliata da Ulisse in un climax irresistibile di tranelli. I due termini del conflitto alla fine verranno composti in un compromesso grazie alla generosa intercessione di Teagene, amante ripudiato di Deidamia: Achille partirà sì per la guerra, ma dopo aver sposato la principessa.
L’opera è costruita su un solo protagonista, Achille (alla prima rappresentazione l’ottimo Felice Salimbeni, che si guadagnò il plauso entusiasta di Metastasio), la cui parte sovrasta palesemente tutte le altre. In un gioco di specchi tra la scena e la sala, la vicenda narrata si riferisce a quella reale di Maria Teresa e Francesco Stefano, come esplicitano i personaggi allegorici che compaiono a fine opera. Per l’occasione originaria il dramma venne messo in musica da Antonio Caldara, compositore prediletto dell’imperatore Carlo VI e operista di scuola veneziana, che scrisse con l’Achillela penultima opera di una lunga, gloriosa carriera. Si apprezzino in particolare i rimandi tra la sinfonia e il primo coro, la grazia e l’intensa espressività di molte arie (tutte nella forma colda capo, tra cui notevoli quella di Deidamia, I,14: “Del sen gli ardori” e quella di Licomede, II,4: “Fa che si spieghi almeno”) e le raffinate armonie dei recitativi accompagnati.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi