Home Page
Consultazione
Ricerca per categorie
Ricerca opere
Ricerca produzioni
Ricerca allestimenti
Compagnia virtuale
Servizio
Informazioni e FAQ
Condizioni del servizio
Manuale on-line
Assistenza
Abbonamento
Registrazione
Listino dei servizi
Area pagamenti
Situazione contabile


Visualizzazione opere

Clemenza di Tito, La
Dramma per musica in tre atti di Pietro Metastasio
Musica di Christoph Willibald Gluck 1714-1787
Prima rappresentazione: Napoli, Teatro San Carlo, 4 novembre 1752

Personaggi
Vocalità
Annio
Contralto
Publio
Basso
Servilia
Soprano
Sesto
Soprano
Tito Vespasiano
Tenore
Vitellia
Soprano
Note
Scritta sul medesimo soggetto metastasiano dellaClemenzadi Hasse, e in occasione del giorno onomastico del re di Napoli Carlo III di Borbone, l’opera rappresenta uno dei titoli più significativi del compositore nel campo dell’opera seria italiana, alla vigilia del suo trasferimento a Vienna, avvenuto nel dicembre 1752. La prima rappresentazione suscitò non poco interesse nel pubblico partenopeo: tra gli elogi che il futuro protagonista della riforma operistica fu in grado di guadagnarsi, è d’obbligo citare quello di Francesco Durante a proposito in particolare di un’aria dellaClemenza. Commentandola, l’importante compositore napoletano fa notare come, al di là di ogni possibile riserva sull’aderenza del pezzo alle regole insegnate in conservatorio, si tratti indubbiamente di un capolavoro: «Se l’avessi scritta io, mi contarei un grand’uomo». L’aria in questione è quella dell’addio di Sesto a Vitellia, “Se mai senti spirarti sul volto”, la cui fama non venne meno negli ambienti musicali napoletani neppure nel secolo successivo: la sofisticata immagine metastasiana dei sospiri del condannato a morte, che si trasformano in una brezza leggera, viene resa attraverso l’eco dell’oboe che risponde alla voce sopranile, nell’atmosfera irreale prodotta dalle note tenute degli archi acuti sul pizzicato dei bassi. Gluck, ben conscio del fascino inusitato di questo pezzo, lo riutilizzò con un testo differente in ?Iphigénie en Tauride, nell’aria con coro “O malheureuse Iphigénie”. Le arie in assoluto più notevoli appartengono però alla protagonista femminile, Vitellia, che emerge come grande personaggio tragico soprattutto in due luoghi. Innanzitutto alla chiusa del primo atto, in un recitativo seguito da un’aria. Il tono tragico del dilemma di Vitellia viene stabilito dal colore orchestrale, già appartenente al Gluck maturo, del recitativo accompagnato; da questa atmosfera cupa, densa di inquietudine, emerge una grande aria con oboe obbligato, in cui la protagonista può infine esprimersi compiutamente (sette anni più tardi, sempre al Teatro San Carlo, Hasse terminerà il secondo atto dell’Achille in Scirocon il medesimo espediente drammatico, identico persino nella scelta dell’oboe obbligato da affiancare al soprano). Vitellia viene gratificata subito dopo, nel secondo atto, da un’aria ancora più splendida, “Come potesti, oh Dio”, estremamente varia negli atteggiamenti: in corrispondenza del mutare dei sentimenti espressi, anche la musica alterna movimenti lenti e veloci, l’agitazione e l’indugio, l’indignazione e il pentimento, facendo da specchio alla natura intimamente tragica e irresoluta del personaggio. Anche le arie per altri ruoli, come quelle di Annio e di Tito, sono contraddistinte da melodie di somma eleganza: le arie di Annio “Io sento che in petto”, con le sue aperture al patetico, e “Ch’io parto reo lo vedi”, preceduta da un esteso ritornello orchestrale, oppure la migliore aria di Tito, “Ah, se fosse intorno al trono”. La raffinata scrittura per l’orchestra è apprezzabile in numerosi luoghi della partitura: ad esempio nella marcia del primo atto, nel cui respiro sinfonico archi e fiati vengono integrati; le introduzioni a diverse arie, spesso di dimensioni imponenti e decisamente originali nelle soluzioni timbriche; infine i recitativi accompagnati di Tito, di Sesto e di Vitellia, che si segnalano per la concitazione degli archi e l’aderenza al senso del testo: in particolare quello di Tito nel terzo atto, destinato a dare veste musicale a quella scena settima che nel 1749 Voltaire aveva definito con entusiasmo «eterna lezione di tutti i re e incanto di tutti gli uomini».
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Credits - Condizioni del servizio - Privacy - Press Room - Pubblicità