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Didon
Tragédie lyrique in tre atti di Jean-Francois Marmontel, da Metastasio
Musica di Niccolò Piccinni 1728-1800
Prima rappresentazione: Fontainebleau, 16 ottobre 1783

Personaggi
Vocalità
Didon
Soprano
Elise
Soprano
Enée
Tenore (haute-contre)
Iarbe
Basso
l’ombra d’Anchise
Basso
Phénice
Soprano
un confidente di Iarbe
Basso
Note
Quando l’opera vide la luce, laquerelleche aveva opposto il musicista barese a Gluck poteva ormai dirsi conclusa: le vicende della composizione e della messa in scena non furono questa volta turbate da contrasti di fazione o da intrighi impresariali. Piccinni cominciò a musicare il dramma nell’estate del 1783 e – secondo la testimonianza di Ginguené, il suo primo biografo – portò a termine il lavoro in sole sei settimane. La nuova partitura non conobbe le dilazioni che avevano ritardato gli allestimenti dell’Iphigénie en Tauridee diAtys, e la prima rappresentazione poté dunque aver luogo a corte quell’anno. Seguì, secondo la prassi, la presentazione all’Opéra di Parigi, il 1º dicembre. Il successo di pubblico fu indiscutibile e anche la critica, pur con qualche riserva, accolse favorevolmente il lavoro, salutandolo come il capolavoro francese di Piccinni. Nel ripercorrere la notissima vicenda di Didone ed Enea, Marmontel guardò tanto a Virgilio quanto allaDidone abbandonatadi Metastasio, che da quasi sessant’anni attraversava trionfalmente le scene operistiche europee, musicata da decine di maestri. Il libretto italiano viene fedelmente ricalcato, come si vede in molti dialoghi tra i due protagonisti o nell’aria di Didone “Ni l’amante, ni la reineâ€, ripresa dalla celeberrima “Son regina e sono amante†di Metastasio. La vicenda metastasiana viene tuttavia vigorosamente sfrondata nelle parti accessorie dei vari confidenti, nei loro amori incrociati e intrighi di palazzo. L’attenzione di Marmontel è tutta incentrata sul rapporto umanissimo e struggente dei due amanti, al punto di cancellare quasi ogni traccia dell’elemento soprannaturale tipico dellatragédie lyrique(praticamente ridotto alla fugace e musicalmente poco significativa apparizione dell’ombra di Anchise, che nel terzo atto giunge a troncare gli ultimi indugi di Enea, convincendolo a far vela verso l’Italia). Lagrandeurcara al pubblico di Parigi era comunque assicurata dalle scene marziali (preparativi della battaglia tra i troiani e gli africani di Iarba, festeggiamenti per la vittoria di Enea) e dall’uragano che distrugge la reggia di Didone: momenti trattati da Piccinni in forma di concertato con coro.

La centralità dell’elemento amoroso consentì a Piccinni di dar corso alla propria vena più autentica, quella elegiaca e sentimentale, riversata in forme agili e simmetriche, di tipo ternario o, più raramente, binario. Il tenerissimo ritratto di Didone, oscillante tra l’illusione di un amore impossibile e il rimpianto della breve felicità amorosa conosciuta accanto a Enea (soprattutto nell’aria “Ah! Que je fus bien inspiréeâ€) tra i momenti più alti che lasensibleriedel Settecento ci abbia consegnato, anche grazie al fascino inesausto di una melodia che non rinuncia mai alle seduzioni dell’opera italiana. Da quella sfera di tenerezza è attratto, a partire dal secondo atto, il personaggio di Enea, fino ad allora votato ai toni marziali. Il registro espressivo del compianto si insinua persino in un’ ‘aria di furia’ del brutale Iarba (“Je veux les voir réduire en cendreâ€), quando la sua volontà di vendetta si muta nella sezione centrale del brano in cupa e stupefatta contemplazionea prioridella città ridotta a cumulo di rovine. Più o meno allo stesso modo la speranza amorosa si alterna all’estrema concitazione nell’aria “Hélas, pour nous il s’exposeâ€, in cui Didone dà sfogo alla propria angoscia sapendo Enea in pericolo durante la battaglia. La tardiva rivelazione dei propositi di Enea e poi la dolce ostinazione con cui la regina continua ad illudere se stessa – mentre nel dramma di Metastasio i due amanti giocano quasi dall’inizio a carte scoperte – ha l’effetto di ritardare il precipitare della tragedia, prolungando la tenerezza sentimentale ben entro l’ultimo atto, fino all’aria di Didone “Ah, prends pitié de ma faiblesseâ€. Da quel momento in poi Piccinni infrange le simmetrie formali del pezzo chiuso, e sospinge l’azione verso il suo sbocco fatale a forza di incisi melodici frammentati e improvvise accensioni vocali e orchestrali. Tuttavia il momento culminante (Didone sale sul rogo da lei fatto apprestare e si dà la morte con la spada di Enea) ha ben poco di tragico: il nobile incedere del coro di sacerdoti accompagna la morte della regina con una melodia serena e pacificatrice.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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