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Dibuk, Il
Leggenda drammatica in un prologo e tre atti di Renato Simoni, dal dramma Tzvishen tzvei Velter di Shalom Anski
Musica di Lodovico Rocca 1895-1986
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 24 marzo 1934

Personaggi
Vocalità
Ascher
Tenore
Basia
Mezzosoprano
Frade
Mezzosoprano
Gitel
Soprano
Hanan
Tenore
I Batlon
Tenore
I donna
Soprano
II Batlon
Basso
II donna
Contralto
il messaggero
Tenore
la cieca
Contralto
la voce di Nissen
Basso
Leah
Soprano
Maier
Baritono
Menascè
Mimo
Michael
Baritono
Nachmann
Baritono
Reb Ezriel di Miropol
Basso
Reb Sender di Brinizza
Baritono
Note
La fama di Lodovico Rocca è rimasta legata principalmente a questa sua terza opera, che a buon diritto può essere considerata fra le più interessanti della sua epoca (composta tra il 1928 e il ‘30, si era segnalata tra centottanta lavori presentati al concorso indetto dall’Ente milanese, esaminati da una commissione presieduta da Franco Alfano). Il carattere ‘evocativo’ con cui viene resa la natura storico-religiosa del soggetto, cifra espressiva che sarà anche dei suoi successivi lavori teatrali, attinge qui un esito di particolare suggestione: in effetti, la ricerca di una proiezione nel presente di fatti ‘illimitatamente’ remoti, di un mondo che ‘vive’ nella leggenda (in tal senso deve essere intesa l’idea di ‘evocazione’) si compie con la volontà di riprodurre l’atmosfera poetica di quella ‘vita’, di ricrearne lo sfondo, le situazioni; di qui le scelte linguistiche, attuate in ambiti stilistici diversificati per i diversi momenti espressivi, condotte secondo un metodo squisitamente drammaturgico.

Prologo. A sipario chiuso, un narratore (il messaggero) illustra i fatti: gli amici ebrei Sender e Nissen si scambiano la promessa, in presenza di un rabbino, di sposare un giorno i loro figli, se saranno rispettivamente una femmina e un maschio.

Atto primo. Diversi anni dopo. Hanan, figlio di Nissen, e Leah, figlia di Sender, approfondiscono sempre più il loro rapporto, sotto l’influsso dei genitori; innamoratisi poi sinceramente, decidono di unirsi in matrimonio. Sender, tuttavia, manifesta a questo punto sentimenti ostili nei confronti di Hanan, e non intende stare al patto; quando comunica al giovane, recatosi a pregare nella sinagoga, di aver trovato nel ricco Menascè lo sposo cui intende concedere la figlia, ne causa la morte: per Hanan quel dolore è troppo grande.

Atto secondo. Il giorno del matrimonio, Leah confessa alla nutrice di aver ancora Hanan nel suo cuore. Tra la folla radunatasi per partecipare alla festa di nozze si ode la voce del messaggero: con tono profetico racconta come l’anima di una persona morta disperata sia destinata a non trovare pace, e possa impossessarsi del corpo di una persona amata; è di una mistica incarnazione che parla, ildibuk. Più tardi, durante la cerimonia nuziale, Leah pronuncia improvvisamente frasi sconnesse, respingendo Menascè: è avvenuto ildibukcon l’anima di Hanan.

Atto terzo. Il giorno seguente Sender conduce la figlia dal rabbino Ezriel, famoso per i suoi interventi miracolosi, affinché possa liberarla daldibuk. I primi tentativi risultano però vani; interrogato dal rabbino, Sender confessa il patto mancato e si pente del suo operato. Solo allora lo spirito di Hanan lascia il corpo di Leah, ma – lungi dal ritenersi sconfitto – riappare alla fanciulla nelle sembianze di un fantasma; Leah si protende verso quell’ombra che la invoca e si lascia trasportare nel regno della morte, dove – come commentano voci misteriose – sarà eternamente unita all’anima di Hanan.

Nell’opera si avvicendano e influenzano reciprocamente atteggiamenti modali, un ampio e aspro impiego della dissonanza, una ricchezza timbrica dai toni spesso macabri; largo spazio è dato al coro, dalle inflessioni ‘russe’ e orientali, che rispecchiano il fervore religioso e concorrono alla definizione dell’ambiente ebraico. Il recupero di una vibrante cantabilità italiana nel duetto conclusivo, dopo la scena terrificante dell’esorcismo e della scomunica (momento fra i più autentici dell’opera), viene impiegato per attenuare l’angoscia della situazione, con un valore quasi catartico. Salutato entusiasticamente dalla critica al suo apparire,Il Dibukgodette pure di un ampio favore del pubblico, il primo di tali dimensioni dopo laTurandotdi Puccini. Certo, gran parte di tale credito deve essere attribuita all’originalità del soggetto, ovvero allo straordinario dramma del teatro ebraico cui si ispira il libretto: una rarità per il pubblico italiano d’allora, cui la musica aveva fornito indovinate caratterizzazioni nel contesto di un’atmosfera spesso allucinata. La fortuna dell’opera è stata condizionata nelle successive riprese dalla maturazione del contesto critico e del pubblico: paragonata ad altri lavori su soggetti demoniaci o visionari – ad esempio all’allora sconosciutoAngelo di fuoco, esito tra i più alti di Prokof’ev – ha perso nel tempo la sua forza di impatto, lasciandosi leggere più come eclettico amalgama che come compiuta sintesi di differenti valori espressivi. Il momento della rapida ascesa internazionale dell’opera resta dunque legato agli anni Trenta, anche se, dopo il periodo in cui fu oggetto di veti politici, il lavoro ha conosciuto negli anni Ottanta alcune riprese italiane.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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