Il romanzo di Bulwer-Lytton è ambientato a Pompei nel 79 d.C., alla vigilia della famosa eruzione del Vesuvio, e contiene descrizioni assai puntuali della città , grazie alle visite compiute dallo scrittore agli scavi archeologici; fu popolarissimo nel XIX secolo, ebbe numerose traduzioni e influenzò molti romanzi storici di ambientazione romana, tra cui
Quo vadis?di Sienkiewicz.
Glauco, un ricco ateniese, ama la connazionale Jone, da cui è ricambiato. Arbace insidia il loro amore, bramando Jone per sé; ucciso il fratello di lei, fa bere a Glauco una pozione che lo rende pazzo e quindi lo accusa dell’assassinio. Glauco viene condannato a essere sbranato dai leoni, mentre Jone viene rinchiusa in casa di Arbace. Nidia, schiava cieca riscattata da Glauco, interviene pugnalando Arbace, mentre all’arena la folla è in delirio poiché i leoni sembrano rifiutarsi di sbranare la vittima innocente. Improvvisamente il Vesuvio erutta; nella città sconvolta e oscurata, Nidia riesce a guidare Glauco e Jone fino alla nave che li porterà in salvo, quindi si getta in mare perché ama in segreto l’ateniese. Infine, Glauco e Jone si convertono al cristianesimo.
La versione operistica resta ragionevolmente fedele all’originale nell’intreccio, ma nel libretto truculento e drammatico di Peruzzini ben poco rimane dell’atmosfera erudita creata da Bulwer-Lytton. La partitura di Petrella appare piuttosto convenzionale nella drammaturgia: si apre con una sinfonia in forma di sonatina e si snoda attraverso un florilegio di arie e duetti coronati da frastagliate cabalette; le melodie tuttavia possiedono un impeto istintivo, e vengono efficacemente sostenute da semplici accompagnamenti orchestrali (e tutta l’orchestrazione risente del modello bandistico coevo). Al successo diJone– l’opera ottenne, al suo esordio, ventun rappresentazioni, e rimase in repertorio fino agli anni Venti del nostro secolo – contribuirono certamente gli aspetti spettacolari dagrand-opéra, la presenza di un evento scenico eclatante come l’eruzione del Vesuvio, il gusto un po’kitsch, l’ambientazione arcaica, il facile e ricco melodismo di ascendenza napoletana e belliniana unito all’enfasi vocale: tutti caratteri che erano consoni alle aspettative del pubblico del tempo. Due arie di Glauco, in particolare, divennero popolarissime: l’arrogante brindisi “Canti chi vuole” e la romanza “O Jone, di quest’anima”, forse il tratto più espressivo di tutta l’opera; interessante è anche il duetto “Dell’Ilisso sulle sponde”, che rende efficacemente il crescente delirio dell’eroe, attraverso un accompagnamento sempre più fitto e una linea ricca di inflessioni cromatiche. Il medesimo soggetto, nella sua ambientazione storica, era già stato utilizzato da Giovanni Pacini per l’opera ?L’ultimo giorno di Pompei(Napoli 1825), dunque anteriormente al romanzo di Bulwer-Lytton, dalla quale si discosta nell’intreccio.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi