Home Page
Consultazione
Ricerca per categorie
Ricerca opere
Ricerca produzioni
Ricerca allestimenti
Compagnia virtuale
Servizio
Informazioni e FAQ
Condizioni del servizio
Manuale on-line
Assistenza
Abbonamento
Registrazione
Listino dei servizi
Area pagamenti
Situazione contabile


Visualizzazione opere

Maria d’Alessandria
Opera in tre atti e quattro quadri di Cesare Meano
Musica di Giorgio Federico Ghedini 1892-1965
Prima rappresentazione: Bergamo, Teatro Donizetti, 9 settembre 1937

Personaggi
Vocalità
Antimo
Basso
Bebro
Basso
Dimo
Basso
Euno
Tenore
il custode del fuoco
Baritono
il figlio
Tenore
il padre
Baritono
la cieca
Contralto
Mahàt
Tenore
Maria
Soprano
Misuride
Soprano
Silverio
Tenore
un pastore
Soprano
un pastore
Tenore
un pastore
Baritono
un pastore
Basso
un pastore
Contralto
un penitente
Tenore
Zozimo
Baritono
Note
Si tratta della prima produzione teatrale di Ghedini, giunto all’opera ormai quarantenne, ma con alle spalle vari tentativi (Gringoire, 1915;L’intrusa, 1921) e con l’esperienza di maestro sostituto, oltre che con la già salda padronanza della scrittura strumentale e della polifonia vocale. Presentata con successo a Bergamo per il Teatro delle Novità, e subito dopo a Modena, ebbe fredda accoglienza alla Scala (1939): «Questo pubblico si trova ogni giorno di più nell’incapacità di giudicare sia la musica del passato sia quella di oggi», ebbe a scrivere in quell’occasione Gavazzeni. Quindi l’opera ottenne un ottimo successo (Trieste 1960), con la direzione di Claudio Abbado; pur senza entrare in repertorio, essa conta anche una ripresa recente (Torino 1984), con buon successo. Quasi in tutti i casi la critica si è soffermata sul gusto decadente e post-dannunziano del libretto (il soggetto è analogo a quello dellaMaria Egiziacadi Respighi), con la sua parabola di peccato e redenzione, che porta a luoghi musicali intrisi di canto sensuale ed esaltazione mistica: si riconoscono tuttavia all’autore, fin da questa prima opera, una viva sensibilità teatrale, «il nutrito senso della vocalità solistica e polifonica» (Vito Levi) e l’abilità di un’asciutta scrittura orchestrale, che si distingue per l’attenzione timbrica, che in seguito caratterizzerà sempre lo stile teatrale di Ghedini.

Atto primo. Presso il faro di Alessandria, sopra i lamenti degli schiavi frustati dagli aguzzini, si leva il canto della donna più dissoluta della città: Maria. Arriva Dimo a cercare schiavi per la sua nave, che condurrà dei penitenti in Palestina; egli chiede anche di Maria e, quando ella appare, esprimendo un vago desiderio di fuga, la invita a salpare con lui. Fra i penitenti vi è un padre che, grazie a una visione divina, ha evitato di uccidere il figlio. Questi mostra una ferita aperta; poi, vista Maria in uno sfondo infuocato, ne è profondamente colpito.

Atto secondo. In mare l’equipaggio fa festa con Maria sotto coperta: i penitenti sono scandalizzati, ma quando ella si presenta provocandoli, sono anch’essi vittima del suo potere di seduzione; solo il padre tenta di fermarla. Nella notte Maria incontra il figlio, che le dichiara il suo amore, sebbene ella lo derida; sopraggiunge il padre ad affrontarla: le lancia un dardo che però uccide il figlio, intervenuto a proteggerla. Mentre si scatena una tempesta, Maria invoca il perdono divino e si augura il naufragio.

Atto terzo. Sulla costa i pastori rinvengono Maria, unica superstite, che porta con sé il corpo del figlio per dargli sepoltura. Si ode dal cielo la voce del figlio che, con altre voci celesti, le indica la via della solitudine nel deserto per raggiungere la pace.

Pur rifiutando i modelli del wagnerismo e dell’impressionismo, in quest’opera Ghedini ne resta in qualche modo invischiato, per le assonanze della trama (la ferita aperta e la scena, di tono parsifaliano, del racconto del padre) e per l’ambientazione musicale, ad esempio nell’impressionistica descrizione dell’alba dopo la tempesta; nondimeno, toni veristici sono presenti nella descrizione di ambienti ‘bassi’. Soprattutto si nota un’impostazione debitrice di Pizzetti, per cui il divenire dell’animo della protagonista si realizza attraverso situazioni ambientali diverse. Per la resa di queste Ghedini sfrutta una gamma di possibilità che va al di là del modello pizzettiano: consonanza per le situazioni ‘sacrali’, dissonanza per la sensualità volgare, vocalità salmodiante ma anche vocalizzi orientaleggianti (per il canto insinuante di Maria), grandi scene corali, giocate su livelli narrativi diversi, fino al madrigale del terzo atto e al finale ‘angelico’ («di sorprendente banalità» secondo Luciano Chailly). La cifra più personale dell’opera resta comunque quella del timbro; i cambiamenti di colore, orchestrali o anche corali, evidenziano inflessioni particolari oppure definiscono situazioni generali. Assai tipica è, ad esempio, l’ambientazione marina (resa con toni che si svilupperanno nel successivoConcerto dell’albatro), talvolta selvaggia e inquietante, che caratterizza parte dell’opera, insieme a certi timbri scuri, volti a rendere l’angoscia che opprime la vicenda, come nel caso dei quattro corni che accompagnano l’assolo di Dimo nel secondo atto.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


Credits - Condizioni del servizio - Privacy - Press Room - Pubblicità