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Nerone, Il
Tragedia per musica in tre atti di Agostino Piovene
Musica di Giuseppe Maria Orlandini 1676-1760
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro San Giovanni Grisostomo, carnevale 1721

Personaggi
Vocalità
Agrippina
Contralto
Narciso
Soprano
Nerone
Tenore
Ottavia
Soprano
Ottone
Tenore
Poppea
Soprano
Tridate
Soprano
Note
Giuseppe Maria Orlandini, malgrado la scarsa attenzione riservatagli oggi, fu uno dei più apprezzati operisti del suo tempo. Con il veneziano Vivaldi era considerato fra i principali esponenti del rinnovamento del melodramma (quel rinnovamento tanto osteggiato da altri, Benedetto Marcello in testa) e le sue opere venivano eseguite in tutta Europa. Purtroppo delle oltre quaranta da lui scritte se ne sono salvate solo quattro o cinque più un intermezzo (Bajocco e Serpillapiù noto comeIl marito giocatore e la moglie bacchettona, Venezia 1718). In più ci sono pervenuti un paio di lavori che Johann Mattheson arrangiò per Amburgo (a testimonianza del favore che Orlandini incontrava ovunque): fra questi è ilNeronesui versi del conte Piovene (che con questo suo ultimo libretto riconfermava il suo amore per il dramma storico d’ambientazione romana). La storia, raccontata a forti tinte, si compiace di esibire efferatezze e meschinerie dove vincitrice trionfa la menzogna: Nerone vuole a tutti i costi Poppea e farà terra bruciata per riuscire nell’intento. Vittime dei capricci suoi rimangono tutti gli altri: Ottavia, innanzi tutto, moglie ripudiata di Nerone, che gli rimane fedele fino all’ultimo tanto da sventare un’attentato all’imperatore (gesto che sortirà solo disprezzo: Ottavia ugualmente esiliata canterà la sua “Addio Roma”, III,10); Ottone, sposo di Poppea, che invano tenterà di far valere la sua legittima unione; Agrippina, madre di Nerone, incapace di tollerare un figlio sordo alla ragion di stato saprà infuriarsi come solo le madri sono capaci: «Tutta fure e tutta sdegno / Reggia e regno turberò. Donna augusta vilipesa, / Madre offesa tutto può», ma anche per lei nulla di buono (ordinerà ai suoi sgherri di ucciderla, in una tragicissima scena finale, perché il ventre che produsse tale mostro possa essere finalmente punito); e anche Poppea sarà travolta da tanta desolazione: se all’inizio pare dubbiosa delle profferte di Nerone (“Fra due venti navicella”, I,4) poi, compreso il dolore che la circonda, si ritroverà incapace di liberarsi del volere di Nerone. La musica che oggi conosciamo, come si diceva, è quella rivista da Mattheson, che oltre ad aver tradotto il testo in tedesco e aver mutato tonalità ad alcune arie, ha aggravato le voci maschili di Ottone e Nerone (il pubblico amburghese di allora era poco abituato alle esibizioni di castrati), ha modificato alcuni altri registri vocali e ha riscritto in gran parte i recitativi. Operazione drastica, che rende difficile un’ipotetica ricostruzione. Le arie però sono rimaste quelle di Orlandini: brillanti, vocalmente impegnative, con una scrittura orchestrale semplificata al possibile (poco più che un sostegno), con una condotta armonica diluita, e quindi facile a offrire ai cantanti un comodo appoggio per variazioni della linea vocale, interruzioni per cadenze, e colorature estemporanee di ogni tipo. Orlandini rimane tuttavia attento alla descrizione psicologica dei caratteri e le sue arie, oltre a restituire l’ambientazione non perdono mai di vista i caratteri peculiari del personaggio (si pensi a Poppea la cui costante indecisione, che diventa poco a poco rassegnazione, ricompare di aria in aria per tutta l’opera).
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

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