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Ruy Blas
Dramma lirico in quattro atti di Carlo d’Ormeville, dalla tragedia omonima di Victor Hugo
Musica di Filippo Marchetti 1831-1902
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 3 aprile 1869

Personaggi
Vocalità
Casilda
Contralto
Don Ferdinando de Cordova
Basso
Don Guritano
Basso
Don Manuel Arias
Basso
Don Pedro de Guevarra
Tenore
Don Sallustio de Bazan
Baritono
Donna Giovanna de la Gueva
Mezzosoprano
Donna Maria di Neubourg
Soprano
Ruy Blas
Tenore
Note
Acquistata dall’editore Lucca, che con Marchetti intendeva contrapporsi alla supremazia del binomio Ricordi-Verdi, quest’opera venne rappresentata con grande successo in più di cinquanta teatri italiani ed esteri nel volgere di pochi anni. Se alla ‘prima’ restò in cartellone per due sole sere, e per di più a fine stagione, schiacciata daLa forza del destinodi Verdi, alla sua ripresa scaligera (1873) venne replicata ventuno volte, conseguendo un primato superato solo daAida.

Don Sallustio ordisce un piano di vendetta contro la regina di Spagna, che lo aveva esiliato per essersi rifiutato di sposare Donna Giovanna, da lui sedotta. Sallustio si serve per i suoi scopi di Ruy Blas, già innamorato della regina, introducendolo a corte sotto mentite spoglie nobiliari. Il valletto guadagna i favori della regina, viene nominato primo ministro, creato duca e ammesso nell’ordine del Toson d’oro. A questo punto Don Sallustio palesa a Donna Maria l’inganno: ella si è disonorata dando il suo cuore a un servo. Ripudiato dall’amata, Ruy Blas uccide in duello il suo padrone e si avvelena, un atto che gli guadagnerà il perdono della regina.

D’Ormeville rielaborò la tragedia di Hugo – incentrata sulla critica politica e sociale – focalizzando l’attenzione sull’antitesi tra i due protagonisti: l’ignobile aristocratico e il virtuoso plebeo; ne sortì un libretto un po’ prolisso, con cui Marchetti dovette fare i conti. La drammaturgia dell’opera occhieggia algrand-opérameyerbeeriano quanto a sontuosità scenica (si vedano i finali del primo e del terzo atto), ma si inserisce pienamente nella tradizione verdiana di maniera: a parte le precise analogie conDon CarloseBallo in maschera, tutto il lavoro risente della lezione di Verdi nell’adozione del declamato espressivo, nell’articolazione complessa delle arie in episodi psicologicamente distinti, nell’uso di motivi orchestrali connettivi per la conduzione di scene e dialoghi. Pur difettando forse nella caratterizzazione psicologica dei personaggi e nel rilievo necessario a connotare le diverse situazioni drammatiche, l’opera fece presa sul pubblico per la novità del soggetto in sé, per la facilità musicale, per il riuscito connubio tra convenzione e serietà accademica; in effetti, in un periodo caratterizzato dalla massiccia influenza delgrand-opéra,Ruy Blassi distinse per i suoi modi misurati. La componente spettacolare è contenuta e discreta, lo sfoggio cerimoniale è ridotto e non appesantisce neppure il finale del terzo atto (che contiene undivertissement); sobrio è anche il ricorso allacouleurlocale spagnola (si veda la ballata in stile andaluso di Donna Giovanna “C’era una volta una duchessaâ€, che riprende la ‘canzone del velo’ delDon Carlos). La vena elegiaca di Marchetti connota i momenti di trasognata estasi, con una delicata scrittura orchestrale – prova ne sia il duetto amoroso “O dolce voluttà†(Donna Maria, Ruy Blas), perla della partitura – e infonde accenti di sincero pathos, come nella scena della morte del protagonista; sotto questo profilo Marchetti segna un punto di transizione verso la linea che sarà tracciata da Catalani e da Puccini.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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