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Venere prigioniera
Commedia musicale in due atti, un intermezzo e cinque quadri proprio, dalla novella Giangurgolo di Emmanuel Gonzales
Musica di Gian Francesco Malipiero 1882-1973
Prima rappresentazione: Firenze, Teatro della Pergola, 14 maggio 1957

Personaggi
Vocalità
Don Giovanni Mediana
Tenore
I sbirro
Tenore
II sbirro
Baritono
III sbirro
Mimo
il pastorello
Tenore
il poeta contadino
Baritono
il poeta fanatico
Baritono
la pastorella
Soprano
la regina
Soprano
Melchiorre
Baritono
Uidillo
Tenore
Venere incatenata
Note
Per commemorare il settantacinquesimo compleanno di Malipiero (nello stesso anno anche il XX Festival internazionale di Venezia si inaugurò con un concerto-medaglione dedicato al compositore), il Maggio musicale fiorentino mise in scena due suoi nuovi lavori:Il figliuol prodigo(che aveva già avuto un’esecuzione radiofonica) eVenere prigioniera. Quest’ultima, finita di scrivere nell’ottobre del 1955 – pochi mesi dopoIl capitan Spavento, ma da questo diversissima – venne a rappresentare un risultato importante nella sua produzione del secondo dopoguerra e ottenne alla ‘prima’ un discreto successo (con qualche dissenso), collegabile anche alla particolare resa della parte visiva (con i bozzetti di Emanuele Luzzati). La fonte letteraria, che Malipiero tendeva a tener segreta, è la novellaGiangurgolodi Emmanuel Gonzales, che è seguita con grande fedeltà nel primo e nell’ultimo quadro (i più lodati musicalmente dalla critica), mentre viene con disinvoltura disattesa negli episodi centrali, che rielaborano passi della novella, lasciando sottintesi diversi nessi causali. Mentre l’ambientazione spagnolesca richiamaDonna Urraca, molte situazioni e personaggi sembrano riecheggiare luoghi tipici della drammaturgia malipieriana: il motivo del figlio (dalleSette canzonialTorneo notturno, allaFavola del figlio cambiato), il tema del sogno (La vita è sogno,I capricci di Callot), il teatro nel teatro (Orfeide, ancoraTorneo notturno). In questo senso, e anche per i suoi caratteri linguistici,Venere prigionierapuò essere vista, secondo Piero Santi, quasi come un riepilogo della produzione e un’autobiografia interiore di Malipiero.

Atto primo.Quadro primo. In una misera stanza, dove abitano Melchiorre e il figlio Uidillo, che è un nano deforme. Irrompe a chiedere soccorso Don Giovanni Mediana, inseguito per aver commesso un omicidio per legittima difesa. Melchiorre lo soccorre, ma subito gli viene portato l’ucciso, che è Giosè, l’altro suo figlio. Melchiorre promette vendetta, ma lascia andare lo straniero; Uidillo, non visto, lo segue.Quadro secondo. Don Giovanni è nella sua lussuosa stanza e Uidillo è al suo servizio; il cortigiano ricorda nel sonno un suo incontro con la regina: toglie il velo a una statua di Venere incatenata e le canta una canzone d’amore, costringendo poi tutti a inginocchiarsi davanti a lei.Intermezzo. In una sala del castello, Uidillo sovrintende ai preparativi per una festa e canta. Il pastorello e la pastorella provano la loro scena, ma Don Giovanni Mediana non ne è soddisfatto.

Atto secondo.Quadro primo. Alla festa la regina Venere incatenata, con accanto un gigante a difenderla, riceve vari omaggi: il canto del buffone Uidillo, la scena dei due pastorelli, l’esibizione del poeta contadino, interrotta da quella del poeta fanatico, fino al canto dello stesso Mediana, durante il quale Uidillo dà fuoco alla scena. Don Giovanni Mediana può così avvicinare la regina e condurla via con sé.Quadro secondo. I due sono soli in un sotterraneo, dove Don Giovanni le rivela il suo amore, mentre la regina gli chiede di lasciarla libera e quindi sviene. Uidillo, intanto, lascia entrare i cortigiani, che portano via la regina; sopraggiunge anche Melchiorre per compiere la sua vendetta, insieme a quattro uomini che si gettano su Don Giovanni.

La caratteristica saliente del linguaggio diVenere prigionierasi palesa fin dalla breve introduzione: il tremolo grave degli archi, i quattro violini nel registro acuto e la melodia dell’oboe e del flauto stabiliscono un fitto intreccio cromatico, che percorrerà tutta l’opera; un cromatismo che però non sconfina in dodecafonia, ma rimane sempre il prodotto della «sovrapposizione di una scala modale diatonica e di una scala esatonale» (Santi). Altri momenti mantengono un certo diatonismo, come la canzone del poeta contadino, e rimandano a stilizzazioni ironiche (i gorgheggi del fanatico) o alludono a una rude semplicità, come nel caso dei rapporti armonici associati alla figura del gigante (che presentano una curiosa assonanza wagneriana). La drammaturgia resta fedele all’idea della sequenza di ‘canzoni’ (specialmente nella scena della festa), anche se non mancano momenti di recitativo declamato (mentre Santi suggerisce anche una lettura generale simmetrica ‘a piramide’, affine alle strutture diMondi celesti e infernalie delFigliuol prodigo). Sempre interessante ed efficacissima la scrittura orchestrale, che presenta pagine particolarmente potenti, come nel momento della comparsa in scena del corpo di Giosè; secondo Waterhouse, uno «fra i più cataclismici dell’intera produzione del compositore».
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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