A Verona le famiglie dei Montecchi e dei Capuleti sono in lotta fra loro. Un giovane mascherato fa da mediatore per la pace, ma Tebaldo, sostenitore dei Capuleti, gli si oppone. Il banditore avvisa dell’arrivo di una ronda di sorveglianza; mentre tutti scompaiono il giovane mascherato resta nei paraggi, ben nascosto: si scopre essere Romeo Montecchi quando, affacciatasi Giulietta Capuleti da una finestra, egli le dichiara il suo amore. Non possono amarsi, benché innamorati, per l’acceso contendere fra le rispettive famiglie; tuttavia Giulietta, tramite una scala di seta, fa salire Romeo nei suoi appartamenti: Romeo se ne andrà all’alba. Mentre si svolge un girotondo delle giovani Capuleti, arriva Tebaldo: egli sa di Giulietta e Romeo e biasima l’accaduto, anche perché Giulietta, per volere del padre, deve andare in sposa al conte di Lodrone, cosa ch’ella non vuole. Colpito a sangue, arriva Gregorio: è stato partecipe del nuovo scontro fra i sostenitori dei due casati, al quale ha visto partecipare anche Romeo. Ma Romeo in realtà non avrebbe mai potuto, perché sta proprio lì, nel giardino del girotondo, ancora una volta nascosto: e sfida allora Tebaldo a duello, ferendolo a morte; Giulietta fa fuggire Romeo, la cui spada insanguinata resta però sul luogo del delitto. In un’osteria di Mantova, Romeo attende notizie da Verona. Un cantatore canta di tristi cose: una canzone di lutto per la scomparsa Giulietta. Romeo gli si getta addosso, perché smentisca la notizia, dica che non è vero quel che canta; ma il servo da cui attendeva notizie dalla città arriva e conferma tutto, e aggiunge che Giulietta è morta proprio poco prima di sposarsi col conte Lodrone, designatole dal padre. Romeo torna a Verona e, davanti a Giulietta morta, si avvelena. Ma Giulietta non è morta: morente Romeo, si ridesta dagli effetti di una droga presa a bella posta per non sposare il conte Lodrone. Chi avrebbe dovuto avvertire Romeo ha fatalmente tardato; mentre Romeo spira, il dolore stronca anche Giulietta.
La classica situazione shakespeariana è trattata da Zandonai con la consueta sapienza orchestrale, e con capacità lirica tendente a sottolineare gli snodi più riposti della vicenda – quelli che annunciano la tragedia e preparano gli eventi, mettendosi quasi in attesa di ciò che il fato ha predestinato – piuttosto che i punti di rappresentazione vera e propria; la capacità di indagare le pieghe e gli anfratti più riposti della psicologia della passione diventa pagina musicale avvolgente, insinuante, anche pateticamente svolta. Sostenuta dalla grana di voce duttile e liricizzante degli archi, la melodia si irrobustisce sovente con l’intercalare, dentro questo impasto, ingressi improvvisi e squillanti, preveggenti sottolineature bronzee del destino incombente: ciò che sempre colpisce, qui e altrove in Zandonai, è il bilanciamento delle voci, il colore dell’impasto d’insieme, la partecipazione delle voci all’affresco sinfonico e, insieme, la dimensione concertante, quasi concorrenziale, delle voci e dello strumentale.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi