Nella primavera del 1821 l’impresario Giovanni Paterni, responsabile dei teatri romani, si era rivolto a Mayr per una nuova opera. Il maestro bavarese con ogni probabilità indicò in sua vece l’allievo prediletto, sottolineandone la fantasia e la «facilità di estendere le idee». Per il giovane compositore era un’occasione da non perdere, tanto più che i cantanti a sua disposizione erano di prim’ordine, in testa il celebre tenore bergamasco Domenico Donzelli e il soprano Maria Ester Mombelli. La trama, che Merelli aveva tratto da un libretto di Luigi Romanelli (
Abenamet e Zoraide, musica di Giuseppe Nicolini: Milano 1805) ruota attorno alla dolce Zoraide: il suo nobile affetto, ricambiato, è tutto per il giovane Abenamet, coraggiosa guida degli Abenceraghi; ma il capo degli Zegri, Almuzir, usurpato il trono di Granata, è animato da un «cieco ardor» e la vuole sposare: per sbarazzarsi del rivale lo invia a capo delle truppe contro gli Spagnoli. Abenamet è vincitore ma, a causa di un inganno, torna privo dello stendardo e viene condannato. Zoraide si offre allora in sposa ad Almuzir per salvarlo; nella notte viene scoperta insieme all’amato da Alj, comandante al servizio di Almuzir: solo se qualcuno combatterà per lei potrà evitare il rogo. Sopraggiunge Abenamet, che supera in duello Alj e lo costringe a confessare «ogni trama». La folla invoca allora la morte del re, ma Abenamet perdona Almuzir che, pentito, unisce le mani dei due innamorati.
A meno di due settimane dal debutto Donizetti dovette eliminare tre numeri e adattare la parte di Abenamet a un ‘musico’, cioè un contraltoen travesti; infatti il secondo tenore Amerigo Sbigoli, nel tentativo di emulare il Donzelli in scena, si spezzò una vena e pochi giorni dopo morì. Nonostante gli inconvenienti, l’opera fu accolta trionfalmente; sul settimanale romano ‘Notizie del giorno’ (31 gennaio) la recensione dell’abate Celli annunciava una «nuova e lietissima speranza per il teatro musicale italiano». La focosità dei sentimenti, il calore mediterraneo e il clima di accese passioni si vestono di una musica esuberante e aggressiva, generosa di espansioni melodiche e di acrobazie belcantistiche. L’ambientazione esotica viene incrementata anche da un reiterato cromatismo discendente, come nella cullante romanza notturna di Zoraide (“Rose che un dì spiegasteâ€). Formidabile virtuosismo e copiosi abbellimenti di bravura si trovano infatti in tutti i pezzi allora più acclamati. L’opera venne ripresa due anni più tardi, sempre a Roma, con una profonda revisione del libretto e della musica. L’eleganza della nuova veste poetica, opera del raffinato Jacopo Ferretti, non raccolse tuttavia analoghi entusiasmi di pubblico.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi